venerdì 4 settembre 2015

Fondi Europei in agricoltura: si punta sull’innovazione in campo

La frutticoltura non vive di innovazione solo per conquistare nuovi consumatori o nuovi mercati, ma anche per essere realizzata riducendo il più possibile gli input colturali e minimizzare gli impatti con l’ambiente. La messa a punto di una  frutticoltura di precisione ha infine il pregio di comportare la riduzione dei costi di produzione per unità prodotta.
Un settore così predisposto ad assorbire innovazione potrà trovare nelle nuove politiche di sviluppo europeo, promosse attraverso i fondi europei per la coesione, una delle principali leve per accrescere le proprie performance e redditività.
Fin dalla definizione della propria strategia di sviluppo al 2020 l’Europa si è data l’ambizioso obiettivo di investire almeno il 3% del PIL dell’Unione in ricerca e sviluppo. L’Italia nell’ambito europeo è classificata tra le regioni moderatamente innovative, collocandosi sotto la media (gli ultimi dati la collocano all’1,27%, stime 2012). Nel settore agroalimentare la spesa in ricerca e sviluppo ha rappresentato nel 2010 circa il 4% della spesa complessiva. Tale dato denota però una forte carenza di investimenti del settore primario poiché è generato in larga parte dal settore della trasformazione agroalimentare. In tale scenario, per evitare la dispersione dei fondi l’Ue ha chiesto agli Stati membri e alle Regioni di definire una strategia comune che trova una sua sintesi a livello nazionale nell’ambito dell’accordo di partenariato stipulato il 29 ottobre 2014 che vede i fondi di coesione destinare a tale strategia complessivamente 3,7 miliardi di euro, di cui 441,9 milioni (cui vanno aggiunti i cofinanziamenti statali, regionali e privati) a carico dei programmai di sviluppo rurale. Per definire inoltre un migliore utilizzo delle risorse, individuare attività ad alto valore aggiunto che offrano le migliori possibilità di sviluppo della competitività e consentire un più facile “networking” dell’innovazione, la Commissione ha chiesto agli Stati membri e alle Regioni di delineare una strategia comune, denominata S3 (“Smart Specialization Strategy”).

Per il settore agricolo, in particolare, ha poi sviluppato il PEI (Partenariato Europeo per l’Innovazione) che ha come obiettivo principale quello di promuovere la circolazione tra gli Stati dell’Unione delle pratiche innovative e di indirizzarne e stimolarne lo sviluppo con particolare riguardo a cinque ambiti di azioni:

• incremento della produttività agricola attraverso un uso più efficiente delle risorse naturali;
• soluzioni innovative a sostegno della bio-economia;
• sviluppo di servizi eco-sistemici e sistemi agro-ecologici integrati;
• diffusione di prodotti e servizi innovativi per la catena integrata di approvvigionamento;
• interventi nella qualità e sicurezza degli alimenti e stili di vita sani.

Le tematiche sopra riportate, sebbene non esclusive, saranno di orientamento ai Gruppi Operativi per l’innovazione che costituiscono l’unità chiave per i processi di innovazione e per la realizzazione del partenariato per l’innovazione all’interno dei nuovi programmi di sviluppo rurale. Essi sono previsti all’interno della programmazione dello sviluppo rurale il cui strumento di attuazione regionale, il PSR, prevede un sostegno specifico alla gestione dei Gruppi Operativi ed ai loro piani di intervento, nonché delle diverse attività per partecipare al PEI cui i gruppi operativi hanno l’obbligo di comunicare i risultati di ciò che hanno realizzato.
Sebbene l’articolazione di cui sopra evidenzi una certa complessità degli strumenti messi in campo dall’Ue, appare evidente come vi sia la necessità di rafforzare il legame fra il mondo produttivo agricolo e agroindustriale e quello della ricerca, con l’obiettivo di favorire il trasferimento e l’implementazione dell’innovazione che può essere tecnologica, ma anche organizzativa e sociale, in relazione allo sviluppo di nuovi prodotti, pratiche, processi produttivi, servizi e modelli organizzativi, nonché alla sperimentazione e adattamento di nuove tecnologie e di nuovi processi produttivi in relazione ai contesti geografici e/o ambientali delle diverse regioni.
Altro elemento di grande novità è dato dalla necessaria partecipazione ai gruppi operativi della componente agricola. Questo aspetto è di grande importanza perché finora, anche e soprattutto nel settore ortofrutticolo, sono prevalsi in Italia fenomeni poco partecipativi da parte delle imprese primarie. L’innovazione, invece, va studiata e calata nelle singole realtà aziendali per ottenere produzioni gradite al consumatore finale in una logica che tenga in considerazione tutti i passaggi della filiera e non trascuri la sostenibilità ambientale.
Coi programmi di sviluppo rurale in fase di approvazione (l’Italia conta di vederli tutti approvati), nell’autunno 2015 si apre una fase molto interessante di partecipazione della fase agricola all’implementazione dell’innovazione; la frutticoltura ha idee e necessità di intervento importanti e attraverso i Gruppi Operativi per l’innovazione crescerà la circolazione delle idee e la loro implementazione in attività di produzione.

Sebbene quanto rappresentato costituisca un importante quadro di nuove opportunità e di stimoli, non appare da solo sufficiente ad affrontare tutte le sfide da vincere per la frutticoltura italiana. In particolare, la durata limitata di tali progetti mal si adatterà allo sviluppo di nuove varietà che richiedono orizzonti temporali superiori a quelli della programmazione europea basata su un settennio. Su questa sfida è necessaria una cooperazione di più lungo periodo e sono ancora una volta gli imprenditori agricoli a doverlo fare nelle forme organizzative che prediligono. Le organizzazioni dei produttori sono un ulteriore strumento messo a disposizione dalla politica europea che può affrontare questo tema; occorre in tal caso una visione paziente, esclusiva, da valorizzare con politiche di marca e di lungo periodo.

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