lunedì 12 settembre 2016

Bambù, buon reddito da una coltura virtuosa

 Ritorno economico promettente e ricadute ambientali positive: Confagricoltura Taranto fa il punto sull'esperimento portato avanti da una cooperativa pugliese.
Il  bambù può diventare la nuova frontiera dell’innovazione per gli agricoltori della provincia di Taranto, ma anche di tante altre aree del Sud: contenuto investimento iniziale, buon reddito per ettaro e interessanti qualità ecologiche.
I suoi germogli sono apprezzati da vegani, vegetariani e non solo, il suo legno è utilizzabile in 1500 modi diversi e la coltura è ottima per le bonifiche ambientali e per incrementare l’assorbimento di carbonio, utilizzando terreni marginali.

Caratteristiche e potenzialità così invitanti che nel 2013 una ventina di imprenditori, manager e professionisti del tarantino, hanno deciso di mettersi insieme creando il “Gruppo terre della Magna Grecia”.

Il progetto
“Una costituenda cooperativa con una particolare attenzione al benessere e alla rinascita del proprio territorio nel rispetto del bene comune" spiega Fabio Balzotti, consulente aziendale e tra i fondatori del gruppo. Buoni propositi che uniti alla concreta possibilità di “creare opportunità di lavoro tra i giovani” e di “riprendere il passo dell’economia dalla base, la terra” ha reso possibile affrontare questa sfida: piantare il  bambù dove sembrava impossibile.

Non è un caso, del resto, che questa coltivazione stia prendendo piede proprio a Taranto e provincia, tra Pulsano e Faggiano, una terra ambientalmente molto sensibile: “La volontà comune – sottolinea Balzotti - è sempre stata quella di aiutare le aree devastate dall’inquinamento del nostro territorio con un progetto tanto innovativo quanto puntato alla bonifica. In più, vogliamo dimostrare che, pur senza ricevere alcun contributo pubblico, esiste uno spazio utile in agricoltura per investire e creare occasioni: di lavoro, d’impresa e di studio”.

Il bambù, insomma, è sembrata subito la coltura perfetta per ridare una “missione” unificante a professionisti provenienti dai settori più disparati, ma innamorati della terra, e a terreni che, in non pochi casi, sarebbero rimasti improduttivi per scarsa convenienza economica.

Le virtù ecologiche
Il bambù, infatti, cresce molto velocemente, ha bisogno di poche cure e ha un ottimo impatto ambientale perché il suo apparato radicale supporta il consolidamento e il rimboschimento delle scarpate, prevenendo frane e smottamenti. Elaborando i nitrati, poi, contribuisce a mantenere pulite le acque di fiumi e laghi. Contrasta l’effetto serra grazie all’elevato assorbimento di anidride carbonica: una piantagione di bambù è in grado di catturare fino a 17 tonnellate di carbonio per ettaro all’anno ed è capace di trasformare gli inquinanti (compreso l’azoto ed i metalli pesanti) in biomassa.

I conti tornano
Il bambù produce fino a 20 volte la quantità di legname rispetto ad una stessa area insediata da alberi e ha un’elevata redditività già a partire dal terzo anno: i suoi culmi (le canne) hanno un prezzo di mercato che può arrivare ai 45 euro al pezzo (in base all’altezza e al diametro), con il legno che conta almeno 1500 aree di utilizzo diverse, mentre i germogli partono dai circa 10 euro al chilo al produttore sino ai 28 euro al dettaglio.
Per quanto riguarda i guadagni, le stime di Confagricoltura Taranto partono dai 20mila euro fino a superare i 100mila a ettaro, a fronte di un investimento iniziale tra 14 e 26mila euro (in base al numero di piante).

“Fra un anno e mezzo – spiega Balzotti - raccoglieremo i germogli dei primi 30 ettari piantati ad aprile sui 50 disponibili, fra due e mezzo i culmi. Ora, dopo tre anni di studio, c’è solo da lavorare e far crescere anche il gruppo che, nel frattempo, si sta allargando al Salento, alla Calabria, alla Basilicata e prossimamente alla Sicilia”.

La ricerca dell'Università di Bari
Il bambù è ideale, quindi, per le bonifiche ambientali grazie alla capacità di contrastare l’inquinamento del suolo e dell’atmosfera: “E’ questa la caratteristica -  dice Balzotti – che rende unico il nostro progetto, non solo in Italia ma in Europa: abbiamo finanziato uno studio scientifico grazie anche al Consorzio Bambù Italia, che ha creduto in noi. La ricerca, in uscita a settembre e curata dal professor Raffaele Lafortezza del Dipartimento di Agraria dell'Università di Bari e dal ricercatore Mario Elia, certificherà la capacità del bambù di bonificare i terreni dalle sostanze nocive e di assorbire anidride carbonica restituendo il 30 per cento in più di ossigeno”.

Il parere di Confagricoltura Taranto

“I tantissimi usi del bambù – spiega il direttore di Confagricoltura Taranto, Carmine Palma - dall'alimentazione all'arredamento, passando per il tessile e la cosmesi e la forte domanda mondiale consentono di scommettere per i prossimi 15 anni sulla redditività di questa innovativa coltivazione. Per noi tutto ciò che serve a ridare reddito stabile e duraturo alle aziende agricole è una buona idea: per chi vi investe e per la prospettiva nuova che offre al mondo agricolo”.

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