martedì 17 gennaio 2017

Qual è il valore economico e l'importanza agronomica dell'attività di dell’impollinazione?

Un sondaggio del Crea-Api mette in luce i limiti alla diffusione dell'attività di impollinazione guidata effettuata dagli apicoltori e lo scollo percepito dal comparto apistico rispetto al resto del mondo agricolo.
Che le api siano importanti per l'impollinazione è una cosa che sanno bene anche i bambini. Ma quale sia il valore economico e l'importanza agronomica dell'attività di impollinazione delle api è un tema molto spesso ignorato o quantomeno sottovalutato.

E' stato stimato che a livello mondiale il valore economico globale generato dalle api con la loro attività pronuba sia cento volte superiore rispetto al valore derivante dalla vendita dei prodotti dell'alveare.

In alcuni paesi, come Usa e Israele, il servizio di impollinazione rappresenta spesso la prima fonte di reddito per gli apicoltori, seguito poi dalla vendita del miele e degli altri prodotti apistici. E l'importanza dell'attività pronuba delle api è pienamente conosciuta dagli operatori di tutto il comparto agricolo.

Gli agricoltori israeliani ad esempio vogliono pagare per avere le api sui loro frutteti, perché pagando possono prendere un servizio di impollinazione di qualità.

Dall'altro lato, il grande allarme della mortalità delle api negli Stati Uniti è nato non tanto per la riduzione della produzione di miele, ma per la mancata impollinazione dei mandorleti californiani.

In Europa, nell'ambito del progetto superB - Sustainable pollination in Europe - l'Università di Reading, in Inghilterra, ha organizzato un sondaggio per mettere a fuoco il ruolo del servizio di impollinazione nel vecchio continente.

Per l'Italia questo sondaggio è stato realizzato dal Crea-Api di Bologna, sotto la cura di Laura Bortolotti.

Al questionario proposto dal Crea hanno risposto 193 apicoltori, di cui 75 professionisti, con più di 400 alveari, e 118 hobbisti. Un numero notevolmente ristretto, considerate le 12mila aziende apistiche e i 40mila apicoltori che allevano le api per autoconsumo, che si stimano esserci nel nostro paese. Un numero che può già essere interpretato come un dato che denota lo scarso interesse che il settore apistico ha per questa attività. E infatti così è emerso dalle risposte.

Tra gli apicoltori professionisti che hanno partecipato al sondaggio, la vendita del miele rappresenta la principale fonte di reddito e solo il 31% di loro pratica il servizio di impollinazione, e solo in tre casi incide per oltre il 50% sul reddito aziendale.

Questa sottoutilizzazione dell'attività di impollinazione guidata come fonte di reddito non deriva però da problemi organizzativi o da una scarsa cultura tecnica degli apicoltori. Anzi, si potrebbe quasi sostenere il contrario.

La metà degli apicoltori intervistati, e questo dato si può tranquillamente ampliare alle generalità degli apicoltori italiani, pratica il nomadismo per la produzione del miele e del polline, cioè sposta gli alveari per inseguire fioriture di piante spontanee o coltivate. Quindi non sussistono grossi problemi tecnici per portare le api anche su colture da impollinare.

In alcuni casi, quando gli apicoltori portano gli alveari negli agrumeti o sui campi di sulla, girasole o trifoglio per la produzione del miele, svolgono in contemporanea un servizio di impollinazione per quelle colture. Un servizio che spesso non è retribuito, anzi in alcuni casi è l'apicoltore stesso a dover regalare qualche vasetto di miele ai proprietari dei fondi a titolo di riconoscenza per aver potuto usufruire del terreno su cui collocare le arnie.

Dal sondaggio, i limiti principali che frenano gli apicoltori a effettuare il servizio di impollinazione sono due: il timore, anche solo teorico, di possibili avvelenamenti da fitofarmaci utilizzati sulle colture e lo scarso riconoscimento economico da parte degli agricoltori.

Molti degli apicoltori intervistati si accontenterebbero anche di un riconoscimento morale dell'importanza delle loro api, in cambio di un ambiente migliore, richiedendo maggiore attenzione da parte delle istituzioni e degli altri operatori agricoli.

"Se non si usassero veleni farei il servizio di impollinazione in forma gratuita" è una risposta frequente tra le persone coinvolte nel sondaggio. O addirittura "il servizio di impollinazione che rendo lo faccio gratis, e così indirettamente la maggior parte degli apicoltori, ma purtroppo dagli agricoltori non riceviamo nemmeno un grazie, anzi, a volte perdiamo le api per i trattamenti che fanno sulle piante".

Interessante è il dato che le coltivazioni di piante da frutto risultano tra le colture considerate da evitare da parte degli apicoltori intervistati, soprattutto per il timore dei trattamenti fitosanitari e per il fatto che spesso non sono retribuiti. E le piante da frutto sarebbero tra le coltivazioni che più si avvantaggerebbero dell'attività di impollinazione, assieme alle oleaginose e alle foraggere da seme.

Una situazione che non è costruttiva per nessuno, quindi. Anche triste per un paese con una tradizione agricola come il nostro. Particolarmente doloroso è notare la divisione che viene percepita dagli apicoltori tra loro e gli agricoltori, come se anche gli apicoltori non fossero parte integrante del sistema agricolo.


Riuscire a realizzare in modo razionale ed efficiente il servizio di impollinazione vorrebbe dire dare inizio a un ciclo virtuoso di cui beneficerebbero tutti gli operatori del nostro comparto agricolo, e, non da ultimo, l'ambiente.

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