venerdì 21 aprile 2017

Assemblea Fruitimprese 2017: piu' che la Brexit o il neo protezionismo, i veri problemi dell'ortofrutta italiana sono tutti nazionali

"A distanza da un anno dalla nostra ultima riunione assembleare, molte cose sono cambiate, e non tutte per il meglio", queste le parole di Marco Salvi presidente dell'associazione Fruitimprese, in occasione del convegno dal titolo: "Brexit e nuovi protezionismi. Quali scenari per il commercio ortofrutticolo", svoltosi ieri, 20 aprile 2017, a Roma.
Che la storia sia andata in direzioni imprevedibili, è stato sottolineato anche dal moderatore della giornata, il giornalista RAI Franco di Mare, il quale in apertura dei lavori ha fatto riferimento alla teoria del cigno nero: ossia quell'evento imprevisto e non calcolato, che però rischia di mutare improvvisamente un dato quadro di riferimento, costituendone una svolta verso un altro paradigma.
E i "cigni neri" non sono certo mancati, in tempi recenti, nello scenario generale degli assetti geopolitici: chi avrebbe mai scommesso sull'esito positivo del referendum sulla Brexit o sull'elezione alla presidenza americana di Donald Trump? Questi e altri fenomeni, quali ad esempio le cosiddette primavere arabe o l'embargo russo, hanno di gran lunga complicato la situazione per tutti i settori produttivi italiani, agroalimentare e ortofrutticolo incluso.
Certo è che, nonostante tutti questi aspetti imprevisti, la bilancia commerciale per la frutta e verdura italiana risulta ancora positiva, anche nell'anno 2016 (cfr. anche precedenti dati ICE). Tutto sta a vedere cosa accadrà da qui in avanti.
Tuttavia, dovendo necessariamente sintetizzare per i nostri lettori quanto emerso nel convegno di ieri, appare evidente che gli ostacoli per un rilancio del nostro Paese sono tutti interni all'Italia stessa.
Non lasciano dubbi, a tal proposito, le analisi prodotte da Nomisma nell'occasione, grazie all'intervento del managing director Andrea Goldstein (in foto qui sopra): un PIL tuttora stagnante, uno scarso livello di investimento, un risparmio e un consumo delle famiglie che stentano a ritrovare l'equilibrio, una carenza in termini di libera concorrenza. Insomma, un paese che appare quantomai inchiodato e che figura, tra l'altro, agli ultimi posti di ogni classifica, come si evince dalla tabella sottostante.
E le regole nazionali non aiutano. Basti pensare a quanto emerso dall'analisi della Corte dei Conti, come ricordato dal presidente Salvi: l'Italia sconta un carico fiscale che non ha paragoni in tutto il resto dell'Unione Europea per non parlare dello spaventoso numero di norme e leggi di emissione statale, regionale, comunale o di altri Enti (si stima che vigano in Italia dalle 160 alle 170mila norme!), spesso contraddittorie tra loro e di non facile interpretazione, che non agevolano il compito delle imprese italiane nell'agire, decidere, o fare investimenti.
Sentire imprenditori del settore, del calibro di Pino Calcagni (Besana SpA) o Michelangelo Rivoira (Gruppo Rivoira/Kiwi Uno) - intervenuti alla tavola rotonda conclusiva - costretti a rivolgersi alle Ambasciate all'estero di Paesi diversi dall'Italia per risolvere questioni burocratiche, fitosanitarie o solo per avere contatti di un certo livello, fa seriamente riflettere sulla capacità di accompagnamento dell'istituzione pubblica a imprese che lottano disperatamente alla ricerca di nuovi mercati, nel tentativo di rimanere competitive laddove altre nazioni hanno già applicato con successo un formidabile gioco di squadra.
L'assenza nella sede del convegno del ministro Maurizio Martina - del quale era previsto un intervento e che pure ha voluto trasmettere per iscritto un messaggio di ottimismo all'assemblea - denota la fase di difficoltà, da parte della politica italiana, a mantenere il passo con le esigenze dell'impresa. Da questo punto di vista, l'esortazione del neo presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, all'attuazione di un piano di rilancio che punti sulla competitività dell'agroalimentare italiano o l'appello di Marco Salvi perché al settore ortofrutticolo siano date l'attenzione e l'importanza che merita suonano, nonostante le buone intenzioni, come voces clamantes in deserto.
Lo stesso Giansanti ha portato, in apertura del proprio intervento, l'esempio del divario abissale tra il costo del gasolio in Spagna e in Italia: solo uno tra le miriadi di fattori che debilitano la possibilità per l'impresa italiana di rimanere competitiva, aldilà della spendibilità del concetto di made in Italy.
La tavola rotonda (foto sopra) che ha seguito gli interventi dei principali relatori, e che ha visto la partecipazione, tra i già menzionati Calcagni e Rivoira anche di Nicola Cilento (per Confagricoltura), Annibale Pancrazio (della Pancrazio SpA), e Salvatore Parlato (presidente CREA), ha chiaramente mostrato lo scollamento tra l'energia ancora vitale delle imprese del settore ortofrutticolo e la mole di ostacoli, tutti di natura interna, che sono costrette ad affrontare: dalla burocrazia, all'incertezza politica scaturita dalla sconfitta del precedente Governo al referendum di dicembre, fino alla mancanza - tutt'ora - di una legge elettorale che garantisca un nuovo Governo stabile al Paese.
In tutto questo, il neo protezionismo statunitense o la stessa Brexit sembrano quasi i problemi minori. Come sottolineato infatti da Pancrazio, questi paesi esteri rimarranno per molto tempo deficitari in termini di produzione interna e dunque importatori netti di derrate agroalimentari estere, tra cui quelle italiane.
Più urgente sarebbe avviare quelle trattative sui protocolli fitosanitari, in grado di diversificare e ampliare il parco di potenziali clienti per le produzioni ortofrutticole italiane. Ancora oggi il mercato cinese, ad esempio, che pure ha mostrato di essere molto promettente per il kiwi, rimane precluso ad altre produzioni di punta, quali mele, pere o drupacee, diversamente da quanto già altri Paesi europei riescono a inviare verso quel continente.

Tristemente significativa, al riguardo, la slide mostrata dal presidente Salvi, sulla rotta della linea ferroviaria che oggi collega, in soli 21 giorni, la Spagna alla Cina. Tutte le tappe di questa infrastruttura sono situate al di fuori dell'Italia, che non è pertanto in grado di avvalersene.
Le prospettive a breve, ma anche a medio termine per quanto riguarda la situazione italiana non lasciano molto spazio all'ottimismo: e che la questione sia non soltanto imprenditoriale, ma prima di tutto politica, è emerso chiaramente dal confronto tra gli operatori. L'urgenza dei tempi imprenditoriali non trova alcun riscontro nei tempi politici ed è questo il vero ostacolo alla competitività di un intero settore.

Qualche timido segnale positivo si coglie dalla decisione di riattivare i finanziamenti alla ricerca scientifica, soprattutto nel campo del miglioramento varietale mediante tecniche genetiche avanzate come il genome editing: parliamo tuttavia di una goccia nell'oceano, se si pensa - come riferito dal Presidente del CREA - che l'investimento complessivo atteso sarà di 21 milioni di euro per tutte le cultivar, a fronte dei ben 100 milioni di euro che la Germania ha destinato esclusivamente alle patate biotech.
Insomma, l'Italia tenta di rispondere, ma lo fa tardivamente, in un contesto in cui gli indicatori macroeconomici non lasciano ancora spazio alla speranza di una reale ripresa economica.

In un contesto in cui tra l'altro, come ricordato in apertura da Leonardo di Gioia, assessore all'agricoltura della Regione Puglia e coordinatore nazionale di tutti gli omologhi assessori agricoli d'Italia, va adesso a ridefinirsi la stessa politica agricola comunitaria (PAC), con il rischio della messa in dubbio di strumenti finora sostanziali alla sopravvivenza della filiera produttiva, quali l'OCM ortofrutta. Appare dunque sempre più necessario che l'impresa trovi rapidamente delle alternative per mantenere la competitività.
In questo senso, possono essere lette come propositive e costruttive le relazioni finali degli sponsor, Unitec e Bestack, su quelli che sono ad oggi gli strumenti tecnologici o di packaging che le aziende possono autonomamente utilizzare, al fine di creare valore nella propria offerta commerciale.

Dovrà dunque il settore ortofrutticolo cominciare a fare a meno della politica e cercare di cavarsela da solo, come per molti aspetti ha già dimostrato di saper fare? Questo è forse il quesito più importante che la 68ma Assemblea Fruitimprese lascia a tutti noi.

Autore: Rossella Gigli
Fonte: FreshPlaza


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