martedì 20 giugno 2017

Acquisto di terreni agricoli: come si calcola il valore?

Ancora una volta, il settore agricolo, è stato alla ribalta mediatica. E, con un po’ di sano populismo, si è giunti a una (forse affrettata) conclusione: per favorire il ricambio generazione in agricoltura e, al contempo, impedire lo spopolamento delle zone rurali, occorre abbassare (di molto, forse di troppo?) i prezzi dei terreni e dei fabbricati rurali. E così, al solo costo di un caffè, oggi è possibile acquistare terreni agricoli, case coloniali, masserie, aziende agricole in diverse regioni italiane. Un’operazione che, così come è stata posta dai media, sarebbe al contempo semplicissima ed efficace: con un semplice contratto, e con poche monete sul tavolo, si andrebbero a risolvere due problemi di grossa portata: il problema della senilizzazione del settore agricolo e il problema della disoccupazione giovanile. Non solo: si andrebbero a ripopolare quei luoghi che, negli anni, hanno visto il progressivo abbandono e si andrebbe a riqualificare un immenso patrimonio immobiliare. Le ricadute sono facilmente immaginabili: ritorno del turismo di qualità, miglioramento della tutela paesaggistico-ambientale. Tutto giusto, giustissimo. Oltretutto, tale operazione – di cui, in realtà si parla da anni, ma che solo qualche settimana fa è tornata sotto i riflettori – avrebbe già dato i primi frutti: impegnatisi a ristrutturare entro tre anni dall’accordo contrattuale, a quanto dicono i media, sarebbero già in molti – soprattutto stranieri – ad aver optato per il ritorno alla terra. E tutti sarebbero particolarmente entusiasti della decisione presa: vivere in campagna significa (solo) aria buona, criminalità zero, stress addio. Ma, al di là delle personali considerazioni, le domande che sorgono spontanee sono più d’una: è corretto, da un punto di vista strettamente tecnico-estimativo, svendere beni che, nel proprio pedigree, conservano un glorioso passato? Che effetti hanno queste operazioni sul valore generale della terra e l’acquisto di terreni agricoli? Non esiste il rischio che facciano da volano al ribasso, sminuendo, deprezzando, svalutando anche le terre che non sono state abbandonate, ma che hanno solo la sfortuna di avere caratteristiche simili, o di essere collocate nelle vicinanze?

La Banca delle terre agricole
Per delineare un quadro completo, va anche detto che, in effetti, l’accesso al bene terra, soprattutto per i giovani italiani che non hanno una tradizione familiare in ambito agricolo, è quanto meno difficoltoso. L’Italia è infatti caratterizzata da una scarsa, se non addirittura scarsissima mobilità fondiaria, soprattutto in quelle zone caratterizzate da DOP, DOCG, produzioni ad alto valore aggiunto. Oltre all’acquisto di terreni agricoli, anche gli affitti, in queste zone, sono proibitivi. È altrettanto vero, però, che non è significativo/rappresentativo della situazione fare una media dei prezzi ad ettaro: le stime di Agia, l’associazione dei giovani imprenditori agricoli della , dice che in Italia un ettaro di terra costa – mediamente – 18mila euro, contro i 5500 della Francia e contro i 6500 della Germania. Ma, lo sanno bene gli addetti ai lavori, ci sono zone in cui un ettaro di terreno può valere anche 1milione di Euro, dunque, l’indicazione media, ha forti limiti. In ogni caso, qualche tempo fa è nata la Banca delle terre agricole, che mette a disposizione soprattutto dei giovani il patrimonio pubblico. L’auspicio degli stakeholder è che la Banca possa contribuire a generare nuova occupazione agricoltori under 40 in un comparto che, tra produzione e industria, vale il 15% del Pil. Ma dove si trovano queste terre? Hanno oggettive potenzialità produttive? Quali costi comporta la loro remise en forme?

Acquisto di terreni agricoli: come si stima il valore della terra?
La terra, insieme al capitale e al lavoro (dell’imprenditore e dei suoi collaboratori) è un fattore della produzione. Ne consegue che, il suo valore, è strettamente connesso con la sua capacità di generare reddito. Ecco perché, tradizionalmente, la valutazione analitica del valore di un terreno passa attraverso la capitalizzazione dei redditi prodotti. In pratica, per eseguire il computo, alla produzione lorda vendibile (PLV), si sottraggono le spese: ciò che resta è il beneficio fondiario che, appunto, viene capitalizzato, il base al tasso di capitalizzazione della zona, del periodo, del mercato. Va però detto che l’art.16 della Legge 865/1971 ha introdotto i Valori Agricoli Medi, noti come VAM. Dopo una serie di vicissitudini normative oggi, in ciascuna provincia, i valori agricoli medi sono determinati ogni anno, entro il 31 gennaio, dalla Commissione Provinciale Espropri nell’ambito delle singole regioni agrarie, con riferimento ai valori dei terreni considerati liberi da vincoli di contratti agrari, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati, e rilevati nell’anno solare precedente. I valori, espressi in euro per ettaro, vengono pubblicati sui Bollettini Ufficiali Regionali (BUR). Dunque un riferimento normativo esiste: in assenza di un mercato dinamico e in assenza di un bilancio aziendale specifico e dettagliato, il riferimento per stimare il valore di un terreno dovrebbe essere il VAM. Che, sebbene sia spesso ritenuto poco congruo e lontano dall’effettivo valore della terra, difficilmente si avvicina al costo di un caffè. Meditiamo.

Fonte: A come Agricoltura

Autore: Laura Parlander

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