lunedì 20 novembre 2017

La cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro

Ho presenziato al convegno incentrato sulla importanza della Formazione in materia di Sicurezza nel Lavoro, presso la Camera di Commercio a Bari. L’incontro è stato molto interessante, ma a margine dello stesso, vorrei fare alcune considerazioni. Innanzitutto è emerso un aspetto di fondamentale importanza: in Italia manca la “Cultura della Sicurezza”. Quando si parla di “cultura”, in ambito della Sicurezza, non si intende solo ed esclusivamente la conoscenza delle normative e la loro, più o meno, scrupolosa applicazione. “Cultura” è saper riconoscere che la Sicurezza è risorsa e non ostacolo e, come tale, trasmettere le informazioni in maniera tale da non risultare confusionari, ma diretti, pratici e semplici, affinchè il lavoratore comprenda quanto sia importante poter lavorare in sicurezza e tornare a casa, dopo il lavoro, sano e salvo. Nei Paesi di lingua anglo-sassone (e non solo) si parla di “Culture” quando ci si riferisce alla Sicurezza e, non a caso, grande rilevanza è data al Health and Safety Policy Document (HSPD), ovvero una dichiarazione di impegno da parte dell'azienda a perseguire obiettivi in materia di Sicurezza sul Lavoro, che vanno dalla eliminazione (per quanto tecnicamente possibile) dei rischi alla conoscenza ed analisi dei cosìddetti “incidenti mancati” (near misses). In Italia, troppe realtà aziendali non conoscono nulla di tutto questo e la maggior parte dei Datori di Lavoro guarda alla Sicurezza come ad un qualcosa di dispendioso, finanche una perdita di tempo. In primis, dunque, occorre cambiare mentalità, approccio verso una disciplina che mira, più che ad ostacolare, ad elevare lo standard produttivo delle aziende. In seconda battuta, occorre rivedere l’impianto legislativo, che è composto da norme troppo spesso liberamente interpretate e che spesso mirano “solo ed esclusivamente a sanzionare, più che guidare verso l’obiettivo”. Ad oggi, l’impianto normativo italiano sulla Sicurezza sul Lavoro mira ad accentrare quasi tutte le responsabilità, in materia, sul Datore di Lavoro, il quale dovrebbe “valutare tutti i rischi presenti nella propria organizzazione” (cosa impossibile da fare, poiché non è possibile individuare e valutare tutti i rischi), “vigilare affinchè i lavoratori operino secondo le disposizioni”, “redigere documenti (DVR, DUVRI, ecc)”, essere cioè uno studioso, un burocrate e un vigile. Quello che manca nella maggior parte delle realtà aziendali italiane è l’Organizzazione: la Sicurezza sul Lavoro è fondamentalmente “organizzazione”, ovvero una chiara suddivisione di responsabilità e compiti. Non a caso, vengono richiamati nel D.Lgs. n. 81/08, i cosìddetti MOG (Modelli di Gestione ed Organizzazione), particolarmente utili per la gestione stessa delle mansioni inerenti la Sicurezza. Poiché la realtà imprenditoriale italiana è costituita, per lo più, da Piccole Medie Imprese, ove le dimensioni aziendali ed il core business, non esigono necessariamente l’adozione di un MOG certificato (ad es. OHSAS 18001), sarebbe buona prassi nominare figure che possano coadiuvare il Datore di Lavoro nella gestione della Sicurezza. E’ ancora lontana la concezione di ricorrere alla figura del Preposto che, più di tutti gli altri “protagonisti della Sicurezza” (RSPP, RLS), può avere un controllo diretto ed immediato sui lavoratori e sulle modalità di svolgimento dei compiti loro assegnati. Si fa fatica a designare tale figura, celandola dietro la designazione di “caposquadra”: ricordo che il caposquadra altro non è che un “preposto di fatto” e questo aspetto è stato più volte riconosciuto nelle sentenze di Corte di Cassazione. Pertanto, un “caposquadra” non sa di essere investito, di fatto, degli obblighi e delle responsabilità del Preposto: sarebbe dunque meglio designarlo ufficialmente, con tanto di nomina e corso di formazione. Altra questione rilevante è la “centralità” del lavoratore che, tuttavia, deve essere investito anche di responsabilità in materia di Sicurezza: per la verità, l’art. 20 D.Lgs. n. 81/08 “Obblighi del lavoratore” già prevede questo aspetto, ma non tutti ne sono consapevoli e, non tutti sanno che un lavoratore inadempiente può essere sanzionato. Infondere nel lavoratore la concezione di essere “creditore e non solo debitore” (PM R. Guariniello) è un ulteriore passo avanti verso la “Cultura della Sicurezza”. La Sicurezza sul Lavoro non può prescindere da una corretta, “sufficiente ed adeguata” Formazione (art.t. 36-37 D.Lgs. n. 81/08). I corsi di formazione (generale e specifici) sono disciplinati dagli Accordi Stato-Regioni (21/12/2011 e 22/02/2012, ad esempio), i quali definiscono “percorsi formativi comuni su tutto il territorio nazionale” (sentenza n. 3898 del 27/01/2017). E’ doveroso tuttavia sottolineare che non è sempre “facile” garantire la formazione ai lavoratori, specialmente quando si deve tenere conto delle “dinamicità” che caratterizzano determinati settori lavorativi. Faccio riferimento al settore Agricolo, catalogato secondo Codice ATECO come settore di “Classe di Rischio Medio” e come tale necessita di un percorso formativo minimo di 12 ore per i lavoratori. Vero è che l’Interpello n. 11/2013 ha chiarito che la formazione per essere “sufficiente ed adeguata” deve riferirsi ai rischi cui concretamente i lavoratori sono esposti, a prescindere dalla Classe ATECO. Tuttavia, nel settore Agricolo, ad esempio, l’assunzione di manodopera è talmente “dinamica” (assunzioni giornaliere o prestazioni d’opera della durata di pochissimi giorni), che è difficile per il Datore garantire un percorso formativo ai lavoratori. In questo senso le norme non sono molto chiare e non aiutano, in quanto non considerano le sfaccettature del settore. Sottolineo inoltre un altro aspetto: i Datori di Lavoro sottovalutano la Formazione, ritenendola una “perdita di tempo”, così come i lavoratori la reputano superflua poiché “è una vita che faccio questo lavoro, a cosa serve la lezione?” (cit.). A mio parere, il conseguimento dell’obiettivo “Cultura della Sicurezza” deve necessariamente passare da un percorso di crescita che deve coinvolgere le istituzioni, i Datori di Lavoro, gli altri “protagonisti” (Preposti, RSPP, RLS, AGEA, ASPP, MC), i lavoratori. Da parte loro, le istituzioni devono legiferare osservando attentamente quella che è la realtà lavorativa, non emanando norme “astratte”. I Datori di Lavoro devono imparare ad “organizzare” la Sicurezza sul Lavoro. Gli altri “protagonisti” devono prendere consapevolezza dei loro ruoli e responsabilità. I Lavoratori devono essere parte attiva del processo “Sicurezza” e non essere passivi destinatari di disposizioni dall’alto.
Un primo concreto passo, a mio parere, è la suddivisione dei compiti in materia di Sicurezza. Al Datore di Lavoro non dovrebbe essere consentito di ricoprire il ruolo di RSPP, AGEA e/o APPS: per ricoprire quei ruoli, il DL dovrebbe seguire appositi corsi di formazione, che di fatto non ha né tempo né modo di frequentare e poi, se il DL fosse anche RSPP, AGEA e/o APPS è come se “lui se la suona, lui se la canta”. Deve essere un obbligo per il Datore, nominare (e formare) i Preposti in azienda, evitando l’equivoco del Preposto “di fatto”. Il DL deve poter sanzionare quel lavoratore che è inadempiente dei suoi obblighi, senza la paura di mal contenti o del “ricatto” sindacale. La Formazione deve essere effettuata da personale docente che sappia comunicare e deve essere seguita in maniera seria e non “giusto la presenza”. Così facendo si auspica di cominciare a creare i primissimi tasselli della “Cultura della Sicurezza”.

Ing. Giuseppe Cacucci

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