venerdì 10 novembre 2017

Stop a inganni sul riso, arriva quello “classico”

Sulle confezioni di riso arriva l’indicazione “classico” solo nel caso in cui sia presente una delle varietà nazionali tradizionali in purezza (Carnaroli, Arborio, Roma o Baldo, Ribe, Vialone Nano e S.Andrea) e a condizione che sia garantita la tracciabilità varietale. Lo annuncia la Coldiretti in occasione dell’appuntamento “Il riso è tutto uguale? Ma che riso è?” organizzato con la Coutenza Canali Cavour, la Società geografica italiana e l’Anbi nell’ambito del 150° anniversario del Canale Cavour anche per imparare a riconoscerne le diverse varietà e le utilizzazioni in cucina con l’arrivo dei sommelier del riso che è il cereale piu’ consumato nel mondo.

Con questi nomi vengono infatti commercializzate in Italia anche altre tipologie appartenenti e risultava quindi fino ad ora non facile poter ottenere una confezione in purezza con solo riso Carnaroli, Arborio, Roma o Baldo, Ribe, Vialone Nano o S.Andrea. Si aggiorna finalmente una normativa che risale al 1958 e i consumatori – sottolinea la Coldiretti – avranno finalmente l’opportunità di scegliere la qualità e la tipicità delle varietà piu’ tradizionali in purezza a sostegno delle coltivazioni nazionali messe sotto assedio dalle importazioni incontrollate con la pubblicazione in Gazzetta della nuova riforma del mercato interno del riso che prevede necessario adeguamento debba completarsi entro il 7 dicembre 2017. Dal vero Carnaroli nato in Italia nel 1945 dal lungo chicco, con elevati contenuto di amido e consistenza, spesso chiamato “re dei risi”, all’ Arborio dai chicchi grandi e perlati che aumentano di volume durante la cottura fino al Vialone Nano scoperto nel 1937 che è stato il primo riso ad avere in Europa il riconoscimento come Indicazione Geografica Protetta e che scuoce difficilmente mentre assorbe molto bene i sughi. Ma anche risi come il Roma e il Baldo hanno fatto la storia della risicoltura italiana.

Caratteristiche che è importante conoscere in una situazione in cui un pacco di riso su quattro venduto in Italia – continua la Coldiretti – contiene prodotto straniero proveniente spesso da Paesi dove non sono rispettati gli stessi standard ambientali, sociali e di sicurezza. La metà del riso importato arriva infatti dall’Asia nel primo semestre del 2017 con un aumento del 12% delle importazioni dall’India che è il principale esportatore asiatico di riso in Italia seguito da Pakistan, Thailandia, Cambogia e Birmania, che è diventata uno dei principali fornitori dell’Italia secondo l’analisi della Coldiretti.

La riforma del mercato del riso valorizza il nuovo raccolto Made in Italy che è sano e di ottima qualità con una produzione nella media nei circa 230.000 ettari seminati, in leggero calo rispetto all’anno precedente (-1,4%) in un mercato che continua ad essere difficile, con prezzi che persistono a rimanere sotto i costi di produzione. L’Italia – sottolinea la Coldiretti – si conferma di gran lunga il principale produttore europeo di riso nonostante la siccità e il maltempo che ha colpito a macchia di leopardo le risaie dalle quali nascono opportunità di lavoro per oltre diecimila famiglie tra dipendenti e imprenditori impegnati nell’intera filiera, senza dimenticare lo straordinario impatto sul paesaggio, sull’ ambiente e sulla biodiversità con 200 varietà, iscritte nel registro nazionale.

Febbraio 2018 – continua la Coldiretti – sarà un altro appuntamento storico per i risicoltori e per i consumatori italiani per l’entrata in vigore del decreto interministeriale che fissa finalmente l’obbligo di etichettatura d’origine per il riso italiano. Con l’etichetta trasparente – sostiene la Coldiretti – finisce l’inganno del riso importato e spacciato per Made in Italy e il consumatore sarà libero di scegliere tra la qualità, la tipicità e la sostenibilità del prodotto nazionale e quello di importazione.

Un cambiamento importante per un alimento come il riso considerato dietetico che ha fatto registrare un aumento degli acquisti familiari nel primo semestre del 2017 (+1%) secondo Ismea, anche per effetto – conclude la Coldiretti – di una rivoluzione nelle occasioni di consumo in atto nell’ultimo decennio, da primo piatto a piatto unico, da caldo a freddo, da tavola a take away.



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