martedì 9 gennaio 2018

Allevatori di suini, la congiuntura è favorevole ma non si deve abbassare la guardia

Gli allevatori di suini hanno chiuso un’annata positiva, ma non devono abbassare la guardia e smettere di pensare al futuro del settore. Servono infatti nuove strategie di aggregazione e valorizzazione dell’offerta in grado di governare il settore nei momenti più difficili. E’ questo in sintesi il pensiero  di Claudio Canali, nuovo presidente della Federazione nazionale di Prodotto di Confagricoltura.
“Dopo 8 anni di crisi– spiega Canali - gli allevatori di suini destinati al circuito delle Dop sono usciti dal tunnel grazie alla forte domanda di carne della Cina che da maggio 2016  ha avviato un programma di riqualificazione e delocalizzazione dei suoi allevamenti incrementato gli acquisti sul mercato europeo. Il prezzo  di conseguenza si è impennato e si è mantenuto soddisfacente per quest’ultimo anno e mezzo. Mediamente in base ai bollettini della Cun (Commissione Unica Nazionale) i suini grassi nel 2017 sono stati pagati 1,67 euro al chilogrammo”.
Alla ripresa dei listini si è unito anche  il vantaggio di un costo di alimentazione medio basso che non ha inciso in maniera pesante sulle spese di produzione. “Il risultato – ribadisce il presidente nazionale della sezione di prodotto - è quello di una congiuntura  favorevole che dura da circa un anno e mezzo anche se non consente di recuperare completamente rispetto a tutti gli anni di crisi”.
Una crisi che ha comunque segnato pesantemente il comparto: si pensi, come ha sottolineato Canali, alla consistenza del patrimonio suinicolo nazionale passato dai 9 milioni e 300 mila capi del 2010 a 8,5 milioni di oggi. In particolare sono diminuite le scrofe, oggi 470mila rispetto alle 600mila del 2010. Sono aumentati al contrario i suinetti importati da paesi Ue per l’ingrasso saliti a circa 1,5 milioni (nel 2010 erano 1 milione).
“Negli anni di difficoltà – precisa Canali - gli allevamenti si sono trasformati: alcuni per necessità sono ricorsi alla soccida che oggi coinvolge circa un 30% degli allevamenti italiani, altri sono passati ai suini di importazione non legati alle Dop e destinati anche al segmento della carne fresca”.
Il settore continua però a essere penalizzato da un’eccessiva frammentazione dell’offerta rispetto ai macelli e all’industria di trasformazione. “Proprio in questi momenti di condizioni favorevoli – avverte Canali -  sarebbe necessario ripensare al futuro del comparto. La via è quella dell’aggregazione per trovare modalità più corrette di distribuzione del valore lungo la filiera. Anche sul piano della valorizzazione occorre fare di più soprattutto sui mercati esteri. Oggi sono in corso iniziative di promozione del made in Italy, ma bisogna imparare a lavorare tutti  in filiera per vendere bene all’estero”. (F.B.)



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