mercoledì 5 settembre 2018

Caporalato e aste online: quando gli accordi sui prezzi del pomodoro sono carta straccia


Finalmente è stato scoperto il colpevole delle tristi vicende che hanno insanguinato (non è esagerato) le campagne del Sud durante questa caldissima estate. Sono alcune catene della GDO che sfruttano grazie al sistema delle aste a doppio ribasso i trasformatori di pomodoro costringendoli a pagare prezzi da fame ai poveri agricoltori. Anche il “Corriere Ortofrutticolo” del 31 agosto ha denunciato tale pratica che, come scrive, tiene in ostaggio la filiera del pomodoro, malgrado il codice etico firmato da importanti rappresentanti della GDO impegnasse la distribuzione moderna a rinunciarvi.

Mi pare di ricordare però, che nel mese di febbraio di quest’anno era stata firmata l’intesa tra organizzazioni dei produttori (OP) del pomodoro e l’industria di trasformazione per il bacino del Nord con la quale era stato concordato un prezzo di riferimento di 79,75 euro a tonnellata e introdotti importanti parametri sulla qualità. Nel mese di maggio era stato firmato anche l’accordo per il bacino del Centro-Sud con un prezzo di riferimento medio di 87 euro/tons per il pomodoro tondo e 97 euro/tons per il lungo, prezzi ritenuti non soddisfacenti dalle organizzazioni professionali agricole e cooperative, ma che ANICAV, l’organizzazione che riunisce le industrie di conserve alimentari vegetali del Sud, e anche i rappresentanti della costituenda, da molto tempo e non si sa se mai nascerà, organizzazione interprofessionale (OI) del pomodoro da industria del Centro-Sud hanno salutato come un traguardo importante.

Purtroppo, sugli articoli apparsi in questi giorni per denunciare i fenomeni di caporalato nella raccolta del pomodoro nelle regioni meridionali, non si fa mai accenno a questo “traguardo”. Persino l’ANICAV lamenta le conseguenze negative delle aste online, come a giustificare i casi di mancato rispetto dell’accordo. Ma esiste anche l’OI “Ortofrutta Italia”, a dimensione nazionale, e l’anno scorso è stata riconosciuta pure l’OI “ Pomodoro da industria Nord-Italia”, che gode della lunga esperienza del “Distretto del pomodoro da industria Nord-Italia”, e nessuna delle due ha fatto sentire la sua voce per denunciare il mancato rispetto dei prezzi di riferimento. È vero, le OI non possono intervenire sulla formazione del prezzo, ma è anche vero che gli stessi soggetti che hanno concordato il prezzo di riferimento sia per il pomodoro da industria del Nord-Italia sia per quello del Centro-Sud aderiscono alle due OI citate, in particolare a “Ortofrutta Italia”. Chi mi legge, sa che sostengo fortemente il ruolo di OP e OI, ma questa volta mi cadono proprio le braccia, perché quando queste due forme organizzative, la prima che permette agli agricoltori di concentrare l’offerta e, la seconda, di regolare i rapporti di filiera, avrebbero potuto far sentire la loro voce, sono state invece, ancora una volta, zitte. Per fortuna, che sono state sostituite (sic!) dalle forti reazioni di Coldiretti e CIA.

Certamente, l’assenza di una OI del pomodoro da industria del Centro-Sud, l’insufficiente adesione nelle regioni meridionali delle imprese agricole ad OP, peraltro spesso piccole e scarsamente strutturate, la presenza nel Sud di una organizzazione dell’industria delle conserve alimentari (ANICAV) con imprese più piccole e più numerose di quelle che aderiscono all’associazione (AIIPA) delle industrie alimentari del Nord, determina per i derivati del pomodoro, dato che nel Sud è concentrato circa il 50% delle produzione nazionale, una situazione concorrenziale difficilmente controllabile, che si ripercuote negativamente sull’andamento dei prezzi di un prodotto tuttora trattato sul mercato come una commodity. Penso, persino, che il riconoscimento del “Distretto del pomodoro da industria del Nord-Italia” in OI sia stata una decisione ministeriale che, contraddicendo il criterio normativo che prevede il riconoscimento di una sola OI per prodotto a livello nazionale, non sia stata molto opportuna. Il riconoscimento per circoscrizione economica, ad esempio con riferimento alle regioni del Nord, come consentirebbe il D.Lgs. n. 51 del 2015, avrebbe senso se il prodotto interessato dall’OI ha nella circoscrizione il proprio mercato di riferimento, è il caso, ad esempio, di un prodotto tipico o con denominazione di origine. Per una commodity, come è il caso di quasi tutti i derivati del pomodoro, creare una OI delle imprese collocate nelle regioni settentrionali, lascia completamente sguarnito il lato delle regioni meridionali con una offerta fortemente competitiva per quantità e qualità, soprattutto per i prodotti con minor livello di elaborazione. L’unico argomento a sostegno del riconoscimento della nuova OI del pomodoro da industria del Nord-Italia, oltre la lunga esperienza maturata come “Distretto del pomodoro del Nord-Italia”, base dello sviluppo della coltura in queste regioni, potrebbe essere la totale assenza di “Ortofrutta Italia”, la prima OI riconosciuta, anche storicamente, dal MIPAAF nel settore ortofrutticolo. Infine, non serve collocare il responsabile del fenomeno del caporalato alla fine della filiera, se gli agricoltori non sanno da soli trovare la risposta.

Autore: Corrado Giacomini
Fonte: Corriere Ortofrutticolo


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