mercoledì 21 novembre 2018

Ecco come la mafia controlla il nostro cibo. Un’inchiesta del Financial Times


Il made in Italy fa ancora parlare di sé, purtroppo in questo caso c’è poco da andarne fieri. A inizio novembre il Financial Times ha pubblicato una bellissima inchiesta su come i tentacoli della piovra mafiosa si siano infiltrati nella produzione alimentare in tutto il nostro Paese, andando anche oltre i confini nazionali. Ve ne proponiamo la lettura (di seguito riportiamo un breve estratto) della traduzione che proposta dal Sole 24 ore.

[…] Approfittando della decennale crisi economica in Italia, la mafia ha comprato terreni a prezzo stracciato, bestiame, mercati e ristoranti, e li ha usati anche per riciclare il denaro sporco in uno dei settori di spicco e maggiormente trainanti del paese. Il cosiddetto business delle agromafie, afferma l’Osservatorio, ha un giro d’affari quasi doppio rispetto ai 12,5 miliardi di euro del 2011, essendo arrivato a superare i 22 miliardi di euro nel 2018 (e crescendo a una media del 10 per cento l’anno). Oggi questo business costituisce il 15 per cento circa del presunto giro d’affari della mafia.

[…]ll professore Umberto Santino, storico della mafia di Palermo, afferma che gli interessi della mafia nel settore agroalimentare ormai includono il “traffico di esseri umani, il riciclaggio di denaro sporco, l’estorsione, lo strozzinaggio, la riproduzione e l’allevamento illegali, oltre a operazioni clandestine quali la macellazione, la panificazione, l’interramento di rifiuti tossici nei terreni agricoli. Si tratta di un ciclo integrato, di un pacchetto completo di interazioni sistematiche”.  In base allo schema scoperto da Antoci (Giuseppe Antoci, presidente del parco delle Nebrodi fino a febbraio 2018, è l’autore del Protocollo di legalità”, noto come il “Protocollo Antoci per il suo lavoro ha subito un attentato nel maggio del 2016 [ndr]) i mafiosi e i loro affiliati prendevano in affitto dallo stato centinaia di migliaia di ettari di terreno pubblico nel Parco dei Nebrodi, ricorrendo all’intimidazione per sbaragliare le offerte della concorrenza. Quando ha assunto le sue funzioni nel 2013, Antoci ha scoperto che l’80 per cento delle concessioni del parco erano sotto il controllo diretto della mafia, compresa una a Gaetano Riina, fratello di Salvatore, detto “Totò” e noto anche come “La belva”, boss della mafia siciliana morto l’anno scorso in carcere mentre scontava la sua condanna a vita.

[…] L’infiltrazione della mafia nella catena agroalimentare pare completa in modo deprimente, ma esistono alcune sacche di resistenza.

Consigliamo la lettura l’articolo completo dove viene approfondito anche tutto il settore e il problema delle contraffazioni e adulterazioni.  Un fenomeno che possiamo contribuire tutti a correggere rivolgendoci a una filiera sana e a produttori che conosciamo e di cui ci possiamo fidare.
Fonte: Slow Food

Nessun commento:

Posta un commento