venerdì 12 aprile 2019

Elisa Pellegrini per l’Accademia dei Georgofili risponde alla domanda perché gli alberi creano innesti radicali naturali intraspecifici?


Con il termine “innesto radicale” s’intende l’instaurarsi di connessioni tra due (o più) strutture ipogee che comportano l’unione di cambio, floema, xilema e la conseguente formazione, almeno parziale, di continuità vascolare. In questo modo, gli apparati radicali di alberi appartenenti alla stessa specie (“innesti intraspecifici”) o, assai meno frequentemente, a specie/generi differenti (“innesti interspecifici”) risultano maggiormente espansi e performanti, garantendo così,una serie di vantaggi e benefici reciproci. Sono altresì noti casi di “autoinnesto”, tra radici del medesimo individuo.
In passato questo fenomeno è stato trattato alla stregua di una mera curiosità botanica, ma oggi gli viene dedicata attenzione alla luce delle più recenti scoperte in campo fisiologico. L’identificazione e la caratterizzazione d’innesti radicali ha profondamente messo in discussione il concetto ormai assodato di albero inteso come unità a sé stante, offrendo nuove e affascinanti chiavi di lettura della biologia vegetale. Le attuali conoscenze risultano, tuttavia, ancora parzialie prettamente descrittive. Inoltre, numerosi fattori, quali la specie in esame, la sua tendenza a innestarsi, le caratteristiche del substrato (come struttura e profondità), la densità d’impianto e la natura della popolazione (omogenea vs mista) rappresentano elementi di variabilità. Le evidenti difficoltà logistiche non consentono di apprezzare quanto il fenomeno dell’innesto radicale sia diffuso in natura, ma vi sono ipotesi concrete che sia ampiamente presente in certe specie rispetto ad altre. Curiosamente, si è verificato che in un gruppo di tre alberi omogenei, due individui erano interconnessi reciprocamente in molti punti, ma nessuno di questi aveva contatto con il terzo. Sono noti anche casi nei quali inibitori chimici sono rilasciati dalle radici, in misura tale da impedire qualsiasi collegamento.
Gran parte degli studi sinora condotti sono a volti a definire la valenza ecologica dell’innesto radicale soprattutto in contesti naturali, per lo più forestali. La prima ipotesi è che il fenomeno contribuisca ad aumentare le capacità di sostegno meccanico dei soggetti coinvolti nei confronti del vento; per ottenere un tale risultato, però, dovrebbero essere fuse le radici di grandi dimensioni, e vicine al colletto, evento, questo assai infrequente. Rimangono, pertanto, dubbi se si tratti di un fenomeno adattativo (con effetti mutualistici), o semplicemente accidentale, legato, ad esempio, a costrizioni fisiche che impediscono il libero sviluppo delle radici. Certo è che la presenza di innesti radicali può essere frequente anche in ambienti nei quali la forza del vento non appare un fattore importante. Si sono quindi esplorate altre possibili ipotesi, quali, ad esempio, un ruolo nel rallentare il progressivo deperimento di esemplari più deboli,consentendo alle loro radici di rimanere vitali grazie al continuo approvvigionamento idrico e nutrizionale. Di conseguenza, i benefici in termini adattativi appaiono innumerevoli, con risvolti a livello ecologico (in relazione ai processi di competizione e dominanza), riproduttivo, biochimico e meccanico. Successivamente, è stato dimostrato che questi stessi meccanismi sono coinvolti nelle interazioni non competitive tra gli alberi in essere e quelli ceduati. Quest’ultimi, infatti, possono continuare ad accrescersi (anche se in maniera disomogenea e parziale), nonostante la completa rimozione della chioma grazie proprio alla presenza di connessioni radicali. Un “vicino di casa” vigoroso può rappresentare un buon partner sessuale (donatore di gameti), così da aumentare il potenziale riproduttivo della specie.
Nonostante le molteplici implicazioni positive dell’innesto radicale, è evidente che esso possa rappresentare una via di propagazione di taluni microrganismi patogeni sistemici quali Ceratocystis platani e Ophiostomaulmi(rispettivamente agenti causali di malattie letali, quali“cancro colorato” del platano e“grafiosi” dell’olmo). Questi hanno considerevolmente influenzato e messo in discussione numerose pratiche agronomiche, quali sesti d’impianto ad alta densità e monocolture. Ad oggi, infatti, i mezzi disponibili per contrastare la progressiva diffusione per via radicale di queste malattie (ad esempio la separazione fisica delle radici tramite realizzazione di trincee) sono poco pratici, costosi e improponibili in ambito urbano per ovvie ragioni di sicurezza. Appare evidente come la difesa si basi essenzialmente su strategie e interventi di carattere preventivo. In particolare, la messa a dimora di impianti polifiti opportunamente progettati (così da aumentare le distanze tra piantedella stessa specie) rappresenta la principale misura da adottare. Sono noti anche casi relativi a malattie virali (la “psorosi” degli agrumi) e fitoplasmali (“necrosi floematica” in olmo), per non parlare di basidiomiceti agenti di carie e marciumi radicali.
Eclatante (e ancora irrisolto) è il caso di Verticilliumnonalfalfae e Ailanthus altissima. Esemplari di ailanto non inoculati, ma adiacenti a soggetti infetti, mostravano la sintomatologia tipica delle tracheoverticilliosi (quali ingiallimento fogliare, imbrunimento dei vasi legnosi, avvizzimento e progressiva defogliazione), confermando che gli innesti radicali intraspecifici rappresentano una via rapida ed efficace di trasmissione dell’agente patogeno. E’stato osservato anche che l’applicazione di un erbicida selettivo determinava la morte non solo di ailanti trattati, ma anche di quelli limitrofi, a seguito di traslocazione del principio attivo per anastomosi radicale.
Alla luce di quanto detto, pare ragionevole affermare che l’innesto radicale naturale intraspecifico risulti un fenomeno rilevante al quale occorre dedicare maggior attenzione. E’ comunque certo che la storica visione per la quale gli alberi non sono capaci di interazione con i loro simili è superata, non solo perché sono ben dimostrati scambi molecolari a livello fogliare, ma anche per le accertate possibilità di dare luogo a innesti radicali con conseguentecondivisione di materiali.



Foto 1: Innesto radicale in Ulmus americana. E’ questa una delle vie di diffusione naturale della “grafiosi”.
http://www.dutchelmdisease.org/EXPERT/DED/CORE/00/01/D1.HTML


Foto 2: Innesto radicale tra due esemplari di mangrovia nera (Avicenniagerminans)
https://mangroverootnetworks.info/2019/01/14/the-journey-begins/

Fonte: Accademia dei Georgofili
Autore: Elisa Pellegrini


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