Se fossero impiegati per coltivare cibo, i terreni e l'acqua
attualmente usati per produrre biocarburanti potrebbero sfamare un terzo delle
persone malnutrite nel mondo. Ad evidenziare l'impatto sulla sicurezza
alimentare di bioetanolo e biodiesel di prima generazione - il primo ricavato
da canna da zucchero, mais e grano, il secondo da olio di palma, soia e colza -
è un team di ricercatori del Politecnico di Milano. Stando al loro studio, pubblicato
su Scientific Reports, nel 2013 per i biocarburanti si sono utilizzati il 4%
delle terre agricole e il 3% dell'acqua dolce usata nella produzione di cibo:
un quantitativo di risorse naturali sufficiente a dar da mangiare a 280 milioni
di persone, se impiegato per l'agricoltura. In base ai dati, nel 2013 abbiamo
bruciato 65 milioni di tonnellate di bioetanolo e 21 milioni di tonnellate di
biodisel a livello globale. Alla loro produzione sono stati destinati 41,3
milioni di ettari di terreni agricoli e 216 miliardi di metri cubici d'acqua.
Se la produzione di biocarburanti aumentasse, come previsto, fino a
rappresentare il 10% di tutti i combustibili usati nel settore dei trasporti,
il pianeta potrebbe rispondere alla domanda alimentare di 6,7 miliardi di
persone, a fronte di una popolazione mondiale attuale di 7,4 miliardi. Ci
sarebbe cioè un deficit di cibo per 700 milioni di persone, in una situazione
destinata a peggiorare col crescere del numero degli abitanti della Terra,
attesi a nove miliardi già entro la metà di questo secolo.
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