La frutticoltura non vive di innovazione solo per
conquistare nuovi consumatori o nuovi mercati, ma anche per essere realizzata
riducendo il più possibile gli input colturali e minimizzare gli impatti con
l’ambiente. La messa a punto di una
frutticoltura di precisione ha infine il pregio di comportare la
riduzione dei costi di produzione per unità prodotta.
Un settore così predisposto ad assorbire innovazione potrà trovare
nelle nuove politiche di sviluppo europeo, promosse attraverso i fondi europei
per la coesione, una delle principali leve per accrescere le proprie
performance e redditività.
Fin dalla definizione della propria strategia di sviluppo al
2020 l’Europa si è data l’ambizioso obiettivo di investire almeno il 3% del PIL
dell’Unione in ricerca e sviluppo. L’Italia nell’ambito europeo è classificata
tra le regioni moderatamente innovative, collocandosi sotto la media (gli
ultimi dati la collocano all’1,27%, stime 2012). Nel settore agroalimentare la
spesa in ricerca e sviluppo ha rappresentato nel 2010 circa il 4% della spesa
complessiva. Tale dato denota però una forte carenza di investimenti del
settore primario poiché è generato in larga parte dal settore della
trasformazione agroalimentare. In tale scenario, per evitare la dispersione dei fondi l’Ue
ha chiesto agli Stati membri e alle Regioni di definire una strategia comune
che trova una sua sintesi a livello nazionale nell’ambito dell’accordo di partenariato
stipulato il 29 ottobre 2014 che vede i fondi di coesione destinare a tale
strategia complessivamente 3,7 miliardi di euro, di cui 441,9 milioni (cui
vanno aggiunti i cofinanziamenti statali, regionali e privati) a carico dei
programmai di sviluppo rurale. Per definire inoltre un migliore utilizzo delle
risorse, individuare attività ad alto valore aggiunto che offrano le migliori
possibilità di sviluppo della competitività e consentire un più facile
“networking” dell’innovazione, la Commissione ha chiesto agli Stati membri e
alle Regioni di delineare una strategia comune, denominata S3 (“Smart
Specialization Strategy”).
Per il settore agricolo, in particolare, ha poi sviluppato
il PEI (Partenariato Europeo per l’Innovazione) che ha come obiettivo principale
quello di promuovere la circolazione tra gli Stati dell’Unione delle pratiche
innovative e di indirizzarne e stimolarne lo sviluppo con particolare riguardo
a cinque ambiti di azioni:
• incremento della produttività agricola attraverso un uso
più efficiente delle risorse naturali;
• soluzioni innovative a sostegno della bio-economia;
• sviluppo di servizi eco-sistemici e sistemi agro-ecologici
integrati;
• diffusione di prodotti e servizi innovativi per la catena
integrata di approvvigionamento;
• interventi nella qualità e sicurezza degli alimenti e
stili di vita sani.
Le tematiche sopra riportate, sebbene non esclusive, saranno
di orientamento ai Gruppi Operativi per l’innovazione che costituiscono l’unità
chiave per i processi di innovazione e per la realizzazione del partenariato
per l’innovazione all’interno dei nuovi programmi di sviluppo rurale. Essi sono
previsti all’interno della programmazione dello sviluppo rurale il cui
strumento di attuazione regionale, il PSR, prevede un sostegno specifico alla
gestione dei Gruppi Operativi ed ai loro piani di intervento, nonché delle
diverse attività per partecipare al PEI cui i gruppi operativi hanno l’obbligo
di comunicare i risultati di ciò che hanno realizzato.
Sebbene l’articolazione di cui sopra evidenzi una certa
complessità degli strumenti messi in campo dall’Ue, appare evidente come vi sia
la necessità di rafforzare il legame fra il mondo produttivo agricolo e
agroindustriale e quello della ricerca, con l’obiettivo di favorire il
trasferimento e l’implementazione dell’innovazione che può essere tecnologica,
ma anche organizzativa e sociale, in relazione allo sviluppo di nuovi prodotti,
pratiche, processi produttivi, servizi e modelli organizzativi, nonché alla
sperimentazione e adattamento di nuove tecnologie e di nuovi processi
produttivi in relazione ai contesti geografici e/o ambientali delle diverse
regioni.
Altro elemento di grande novità è dato dalla necessaria
partecipazione ai gruppi operativi della componente agricola. Questo aspetto è di
grande importanza perché finora, anche e soprattutto nel settore
ortofrutticolo, sono prevalsi in Italia fenomeni poco partecipativi da parte
delle imprese primarie. L’innovazione, invece, va studiata e calata nelle
singole realtà aziendali per ottenere produzioni gradite al consumatore finale
in una logica che tenga in considerazione tutti i passaggi della filiera e non
trascuri la sostenibilità ambientale.
Coi programmi di sviluppo rurale in fase di approvazione
(l’Italia conta di vederli tutti approvati), nell’autunno 2015 si apre una fase
molto interessante di partecipazione della fase agricola all’implementazione
dell’innovazione; la frutticoltura ha idee e necessità di intervento importanti
e attraverso i Gruppi Operativi per l’innovazione crescerà la circolazione
delle idee e la loro implementazione in attività di produzione.
Sebbene quanto rappresentato costituisca un importante
quadro di nuove opportunità e di stimoli, non appare da solo sufficiente ad
affrontare tutte le sfide da vincere per la frutticoltura italiana. In
particolare, la durata limitata di tali progetti mal si adatterà allo sviluppo
di nuove varietà che richiedono orizzonti temporali superiori a quelli della
programmazione europea basata su un settennio. Su questa sfida è necessaria una
cooperazione di più lungo periodo e sono ancora una volta gli imprenditori
agricoli a doverlo fare nelle forme organizzative che prediligono. Le
organizzazioni dei produttori sono un ulteriore strumento messo a disposizione
dalla politica europea che può affrontare questo tema; occorre in tal caso una
visione paziente, esclusiva, da valorizzare con politiche di marca e di lungo
periodo.
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