Il 13
settembre la Commissione adotterà la revisione di medio termine del quadro
finanziario pluriennale della Ue, con qualche modifica per alleggerire le
regole ma senza impatti finanziari. Insieme alla revisione del 2014-2020
potrebbe arrivare qualche tema di discussione sul futuro del bilancio europeo,
per il periodo 2021-2027.
Non è un momento in cui aspettarsi iniziative
di grande respiro dall’esecutivo Juncker che, dopo Brexit, ha assunto un
atteggiamento di grande prudenza e un basso profilo.
Il confronto sul Multiannual Financial
Framework (MFF) sarà aspro, come è successo la volta precedente, anche se al
tavolo ci sarà un contendente in meno, la Gran Bretagna che quattro anni orsono
si oppose strenuamente a qualsiasi aumento del contributo degli Stati membri,
bloccando il bilancio di un’area di oltre 500 milioni di persone a circa
mille miliardi di euro per sette anni, l’1%
del Pil.
È l’inizio di un lungo percorso, che dovrà
portare risposte convincenti e condivise su molte questioni aperte. La più
importante è se un bilancio previsionale per un periodo così lungo non debba
essere più flessibile, in modo da lasciare spazi e risorse disponibili per
esigenze di spesa impreviste. Nel programmare le spese 2014-2020, tanto per
fare esempi concreti, nessuno aveva immaginato le dimensioni che nel giro di un
paio d’anni avrebbe assunto il flusso migratorio verso l’Europa, che si
accompagna al dovere di dare soccorso e accoglienza a chi sfugge da guerre e
povertà. Allo stesso modo, la minaccia del terrorismo internazionale non era
ancora percepita per come si è poi manifestata dal 2015 in poi, con la
necessità di individuare strumenti e risorse per la sicurezza comune e per la
politica
estera dell’Unione.
L’elenco è lungo, comprende altre voci
importanti come il cambiamento climatico e il fabbisogno energetico. Tutte
richiederebbero un bilancio europeo in grado di dare risposte immediate.
Proprio ciò che oggi manca al MFF, imbrigliato com’è per due terzi tra i fondi
strutturali e le politiche agricole, tra schemi e regolamenti pensati per un
orizzonte settennale (parola brutta anche da scrivere). Uno strumento non più
adatto per un’epoca di scenari rapidamente mutoveli.
Assodata l’impossibiltà di aumentare i
contributi degli Stati membri al bilancio Ue, è fondato il rischio che le
risorse per le nuove necessità dell’Unione debbano essere sottratte ai due
capitoli più consistenti, fondi strutturali e agricoltura. Per l’Italia solo i
fondi strutturali rappresentano il 10% degli investimenti complessivi. «Sono le
uniche risorse certe» ha ricordato di recente Nicola De Michelis, capo di
gabinetto della commissaria alle Politiche regionali, Corina Cretu. Perciò è
importante che le comunità interessate, quindi anche il governo italiano e le
regioni facciano arrivare - adesso - a Bruxelles la propria voce, illustrando
idee e proposte, per contribuire al disegno delle politiche europee del futuro.
C’è tempo fino alla prossima primavera, quando al Forum Coesione la Commissione
farà il punto. L’Italia, che è ancora tra i principali beneficiari dei fondi
europei, non può tenersi fuori da questo confronto dal quale potrebbe scaturire
una vera e propria rivoluzione delle politiche europee per lo sviluppo e gli
investimenti: raggruppare in un unico fondo con regole omogenee tutte le
risorse europee destinate a questo scopo, comprese quelle del Piano Juncker, il
Feis, per il quale Bruxelles si appresta a raddoppiare la dotazione.
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