
Le aziende lamentano una remunerazione che non copre i costi
di produzione e si attesta sui 60 centesimi al chilogrammo per le varietà
tradizionali e sugli 80 cents/1,10 euro per quelle senza semi. L’uva da tavola
ha come canale unico di sbocco gli scaffali della Grande Distribuzione
Organizzata, dove arriva con un ricarico vertiginoso, attestandosi in media sui
3,50 euro che in taluni casi possono diventare 6. Vale a dire, fino a 10 volte
di più di quando riconosciuto all’azienda agricola, che lavora sottocosto e
senza un giusto compenso rischia il collasso. Molto spesso i produttori sono
costretti a lasciare sulle piante i prodotti del loro lavoro.
A complicare i problemi che depauperano la redditività della
nostra viticoltura, c’è il calo strutturale dei consumi di uva da tavola. Gli
ultimi dati Ismea relativi al periodo luglio 2018 – giugno 2019 indicano una
contrazione della spesa del 9%. Cia-Agricoltori Italiani ritiene, dunque,
indispensabile riprendere il dialogo con la Gdo per neutralizzare le troppe
speculazioni e impedire le inefficienze lungo la filiera, che pesano solo su
produttori e consumatori.
Cia-Agricoltori Italiani ritiene anche necessario sostenere
e stimolare il consumo di prodotto italiano e chiede al Ministro Teresa
Bellanova di dare maggior vigore alla campagna di promozione istituzionale per
l’uva da tavola nei punti vendita, promossa da Ortofrutta Italia.
Per Cia è anche essenziale investire più sforzi e risorse
sull’export, dove l’Italia gioca da protagonista ed è quinta nel mondo, con
spedizioni per circa 700 milioni di euro (preceduta dagli Usa). I mercati di
sbocco principali sono i Paesi dell’Unione europea che assorbono in media al
90% delle esportazioni complessive, ma la concorrenza è altissima: dalla
Turchia al Brasile, Perù, Cile e Sudafrica. Occorre, pertanto, un impegno
istituzionale forte per aprirsi a nuovi mercati su un prodotto strategico per
l’agricoltura italiana, anche su destinazioni come la Cina.
FONTE: CORRIERE ORTOFRUTTICOLO
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