La Commissione Europea ha deciso di fissare il limite di 4
Kg per ettaro e per anno di rame metallo, con una parziale flessibilità che
“spalma” il dosaggio su 7 anni, quindi 28 kg in 7 anni, con possibilità quindi
di compensare l’anno in cui ne serve di più con quello in cui ne basta di meno,
in base all’andamento climatico. Il regolamento entra in vigore a febbraio
2019.
Poiché non esistono ancora alternative altrettanto efficaci
al rame ammesse nella produzione biologica, questa decisione comporta alcuni
problemi per chi segue il protocollo del biologico. Problemi forse non
insormontabili ottimizzando tutti i parametri di controllo e distribuzione, ma
certamente qualche preoccupazione in più per la difesa della coltura,
soprattutto nei climi settentrionali.
“I viticoltori hanno appena perso uno strumento
indispensabile – recita un comunicato di Efow, la Federazione europea dei
viticoltori con certificazioni di qualità come bio, Dop e Igp– Non dovrebbe
sorprendere il fatto che alcuni coltivatori biologici non saranno in grado di
mantenere l’agricoltura biologica e i viticoltori utilizzeranno prodotti
sintetici per mantenere le loro attività. L’agricoltura biologica è una
risposta, tra l’altro, su richiesta dei cittadini consumatori. Con una
diminuzione delle dosi di rame, senza alcuna valida alternativa si fa correre
un grosso rischio a questo settore”.
Un aspetto di cui già ho scritto su Slow Wine riguarda
l’assurdità di pretendere il rispetto pedestre di una “etichetta ministeriale”
che prescrive non solo una dose massima, ma anche una dose minima di prodotto
da impiegare. Ho spiegato in un articolo di due anni fa sempre su Slow Wine
perché questa impostazione sia assurda e sull’argomento ho scritto una lettera
al Ministro della Sanità Giulia Grillo.
Riguardo al rame, poiché il problema ambientale è legato
all’accumulo nel terreno, sarebbe stato molto più opportuno modulare le
limitazioni in relazione al dato in questione, basato in sostanza su un’analisi
del terreno. E’ ovvio che in un terreno a vigneto da centocinquanta anni in cui
da centocinquanta anni si spruzza rame il contenuto di rame sarà diverso da un
terreno che è a vigneto da dieci anni. Senza contare poi che la reale tossicità
del rame per lombrichi, microrganismi e per le piante stesse, nonché la sua
possibilità di essere disperso nelle acque, è funzione di numerosi altri
parametri, legati alla dissociazione dello ione rame e alla sua circolazione:
terreni acidi piuttosto che basici, sciolti piuttosto che argillosi, poveri
piuttosto che ricchi di sostanza organica.
Per cui questo taglio draconiano fa venire il sospetto che,
se è vero che esiste una “lobby del biologico”, altre lobby abbiano un peso
politico decisamente superiore.
Ciò premesso, oltre a continuare a cercare e valutare
alternative al rame (e passi in avanti ce ne sono, per cui, a maggior ragione,
sarebbe stato opportuno rimandare di qualche anno queste limitazioni) sarebbe
opportuno che all’interno dell’ambientalismo razionale e laico si facesse una
riflessione su altri mezzi di prevenzione: in particolare sulle opportunità
offerte dalla genetica moderna. Una riflessione non superficiale e non viziata
da pregiudizi. Anche perché le conoscenze e le tecniche si sono molto evolute e
non si parla più solo di transgenesi e di OGM classici.
A partire dai vitigni cosiddetti resistenti, frutto, finora,
di incroci tradizionali (al più assistiti da marcatori molecolari per capire in
anticipo se la nuova pianta ha ricevuto in dote i geni che interessano), per
arrivare a discutere anche di cis-genesi e di genome editing, cioè di tecniche
il cui prodotto è indistinguibile rispetto a evoluzioni che possono avvenire in
natura, e che in qualche modo copiano infatti quello che avviene in natura,
rispettivamente con l’incrocio e con le mutazioni spontanee.
Se Slow Wine vorrà aprire una discussione su questo punto
potrebbe essere utile, e potrei aggiungere altre informazioni e considerazioni
a questo sasso che lancio nello stagno. Perché se la viticoltura usa oggi il
60% dei fungicidi occupando solo il 3% della superficie agricola europea non
credo che un movimento ambientalista debba far finta di nulla. Il metodo
biologico può essere un passo in avanti, ma, come di mostra il caso del rame,
non è la soluzione.
Autore: Maurizio Gily
Fonte: Slowine
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