martedì 22 gennaio 2019

Infestanti e la loro resistenza agli erbicidi


Una pianta infestante è una qualsiasi pianta non desiderata, altresì detta “malerba”. Crea un danno alle colleghe coltivate, tramite competizione e sottrazione di acqua e nutrienti, ombreggiamento, fenomeni riconducibili al parassitismo etc. etc.
Fin dagli albori dell’agricoltura l’uomo si è trovato a lottare contro questo genere di piante, capaci di compromettere anche pesantemente i raccolti.
Le malerbe hanno fama  a tal punto radicata nell’immaginario collettivo che alcune, una volta personificate, sono impiegate per dipingere azioni e comportamenti dell’uomo: “sei peggio della gramigna!” oppure “sei fastidioso come la parietaria”.
Sapete quale è uno dei principali caratteri che contraddistingue la pianta coltivata dalla selvatica? La capacità di trattenere il seme a maturazione. Questo fatto, decisamente contro natura, impedisce la disseminazione e riduce la fitness. Piante con tali caratteristiche sono state selezionate dai nostri antenati, più o meno all’epoca del passaggio da uomo-raccoglitore a uomo-contadino e rappresentano il primo sodalizio uomo-pianta che ha contribuito a dare luogo all’Agricoltura e, con essa, alla Civiltà.
Facciamo un salto in avanti e andiamo in una risaia del terzo millennio. Immancabilmente vi troviamo il riso crodo, un riso identico al coltivato ma incapace di trattenere a maturità le cariossidi. Non lo si può raccogliere, cade a terra precocemente e l’anno successivo si moltiplica, andando a sottrarre aria, o meglio dire acqua, al riso coltivato, con buona pace del risicoltore. L’ingrato carattere è detto ufficialmente “crodatura”, trae nome proprio dal riso selvatico e lo cede ad esempio all’avena selvativa che infatti “croda”.
          Dopo questa premessa passiamo ai fatti: cosa si può fare nella lotta alle infestanti?
Dal momento che non mi pare granchè efficace seminare il doppio per raccogliere la metà, e non mi sembra nemmeno caritatevole diserbare a mano milioni di ettari, richiamando dalle ferie le belle mondine, non rimane che estrarre dal cappello il jolly della “buona pratica agronomica”, locuzione oggigiorno abusata almeno quanto  il termine “biodiversità”.
Nella concretezza della realtà la buona pratica agronomica – come molti la intendono – talvolta non basta, pur rimanendo fondamenta e pilastro indispensabile. Ecco svelato l’arcano dell’uso degli erbicidi.
L’erbicida altro non è che un formulato contenente uno o più principi attivi ad esempio in grado di interferire con pathways essenziali alla biosintesi e condurre in tal modo a morte la pianta colpita. Alcuni ebicidi possono avere azione selettiva ad esempio nei confronti di mono o dicotiledoni  ed altri invece  spettro ampio.
          Facciamo un altro salto in avanti: come fa una pianta a diventare resistente ad un dato principio attivo?
La risposta è “casualmente”. Mi spiego: in primo luogo si verifica una mutazione puntiforme a carico del patrimonio genetico della pianta, e ciò può avvenire per la presenza di un mutageno fisico o chimico, oppure proprio perchè il meccanismo biologico commette un errore e modifica le basi della doppia elica; succesivamente la mutazione, per affermarsi nella progenie, deve possedere un vantaggio evolutivo, altrimenti la modificazione scompare dalla popolazione. La resistenza ad un principio attivo, per una specie infestante, è proprio un valido vantaggio evolutivo e al contempo si traduce nell’inefficacia funzionale della molecola erbicida.
          Vediamo ora cosa può incentivare l’affermazione delle specie resistenti all’erbicida
Senza ipocrisie: il regime di monocoltura, la non rotazione dei diversi principi attivi e il non rispetto delle opportune dosi e delle epoche di distribuzione sono la causa principe. Prendiamo l’esempio massimo ed esaminiamo il peggior uso  possibile di alcune applicazioni biotech: mais geneticamente modificato per resistere all’erbicida coltivato in omosuccessione e diserbato perennemente con il medesimo formulato…
…dalla parte opposta del campo sembra già di sentire il grido esacerbato degli speculatori anti-ogm, che sistematicamente confondono la causa con l’effetto, pergiunta facendo credere che la comparsa e l’affermazione di specie “super-infestanti” sia peculiare unicità delle coltivazioni transgeniche, quando invece è  un fenomeno generale causato essenzialmente dalla pressione selettiva che si esercita sull’agroecosistema, indipendentemente dalla coltura e dalla tipologia di pressione selettiva.
p.s. Qua il link della lista delle infestanti resistenti agli erbicidi presenti in Italia, dove, per l’appunto, mai sono state coltivate piante transgeniche resistenti agli erbicidi.

Autore: Pietro Bertolotto
Fonte: Il Blog dei Georgofili per giovani
Link: http://blog.georgofili.it/qualcosa-che-sulle-infestanti-e-sulla-loro-resistenza-agli-erbicidi/



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