Una pianta infestante è una qualsiasi pianta non desiderata,
altresì detta “malerba”. Crea un danno alle colleghe coltivate, tramite
competizione e sottrazione di acqua e nutrienti, ombreggiamento, fenomeni
riconducibili al parassitismo etc. etc.
Fin dagli albori dell’agricoltura l’uomo si è trovato a
lottare contro questo genere di piante, capaci di compromettere anche
pesantemente i raccolti.
Le malerbe hanno fama
a tal punto radicata nell’immaginario collettivo che alcune, una volta
personificate, sono impiegate per dipingere azioni e comportamenti dell’uomo:
“sei peggio della gramigna!” oppure “sei fastidioso come la parietaria”.
Sapete quale è uno dei principali caratteri che
contraddistingue la pianta coltivata dalla selvatica? La capacità di trattenere
il seme a maturazione. Questo fatto, decisamente contro natura, impedisce la
disseminazione e riduce la fitness. Piante con tali caratteristiche sono state
selezionate dai nostri antenati, più o meno all’epoca del passaggio da
uomo-raccoglitore a uomo-contadino e rappresentano il primo sodalizio
uomo-pianta che ha contribuito a dare luogo all’Agricoltura e, con essa, alla
Civiltà.
Facciamo un salto in avanti e andiamo in una risaia del
terzo millennio. Immancabilmente vi troviamo il riso crodo, un riso identico al
coltivato ma incapace di trattenere a maturità le cariossidi. Non lo si può
raccogliere, cade a terra precocemente e l’anno successivo si moltiplica,
andando a sottrarre aria, o meglio dire acqua, al riso coltivato, con buona
pace del risicoltore. L’ingrato carattere è detto ufficialmente “crodatura”,
trae nome proprio dal riso selvatico e lo cede ad esempio all’avena selvativa
che infatti “croda”.
• Dopo questa
premessa passiamo ai fatti: cosa si può fare nella lotta alle infestanti?
Dal momento che non mi pare granchè efficace seminare il
doppio per raccogliere la metà, e non mi sembra nemmeno caritatevole diserbare
a mano milioni di ettari, richiamando dalle ferie le belle mondine, non rimane
che estrarre dal cappello il jolly della “buona pratica agronomica”, locuzione
oggigiorno abusata almeno quanto il
termine “biodiversità”.
Nella concretezza della realtà la buona pratica agronomica –
come molti la intendono – talvolta non basta, pur rimanendo fondamenta e
pilastro indispensabile. Ecco svelato l’arcano dell’uso degli erbicidi.
L’erbicida altro non è che un formulato contenente uno o più
principi attivi ad esempio in grado di interferire con pathways essenziali alla
biosintesi e condurre in tal modo a morte la pianta colpita. Alcuni ebicidi possono
avere azione selettiva ad esempio nei confronti di mono o dicotiledoni ed altri invece spettro ampio.
• Facciamo un
altro salto in avanti: come fa una pianta a diventare resistente ad un dato
principio attivo?
La risposta è “casualmente”. Mi spiego: in primo luogo si
verifica una mutazione puntiforme a carico del patrimonio genetico della
pianta, e ciò può avvenire per la presenza di un mutageno fisico o chimico,
oppure proprio perchè il meccanismo biologico commette un errore e modifica le
basi della doppia elica; succesivamente la mutazione, per affermarsi nella
progenie, deve possedere un vantaggio evolutivo, altrimenti la modificazione
scompare dalla popolazione. La resistenza ad un principio attivo, per una
specie infestante, è proprio un valido vantaggio evolutivo e al contempo si
traduce nell’inefficacia funzionale della molecola erbicida.
• Vediamo ora
cosa può incentivare l’affermazione delle specie resistenti all’erbicida
Senza ipocrisie: il regime di monocoltura, la non rotazione
dei diversi principi attivi e il non rispetto delle opportune dosi e delle
epoche di distribuzione sono la causa principe. Prendiamo l’esempio massimo ed
esaminiamo il peggior uso possibile di
alcune applicazioni biotech: mais geneticamente modificato per resistere
all’erbicida coltivato in omosuccessione e diserbato perennemente con il
medesimo formulato…
…dalla parte opposta del campo sembra già di sentire il
grido esacerbato degli speculatori anti-ogm, che sistematicamente confondono la
causa con l’effetto, pergiunta facendo credere che la comparsa e l’affermazione
di specie “super-infestanti” sia peculiare unicità delle coltivazioni
transgeniche, quando invece è un
fenomeno generale causato essenzialmente dalla pressione selettiva che si
esercita sull’agroecosistema, indipendentemente dalla coltura e dalla tipologia
di pressione selettiva.
p.s. Qua il link della lista delle infestanti resistenti
agli erbicidi presenti in Italia, dove, per l’appunto, mai sono state coltivate
piante transgeniche resistenti agli erbicidi.
Autore: Pietro Bertolotto
Fonte: Il Blog dei Georgofili per giovani
Link:
http://blog.georgofili.it/qualcosa-che-sulle-infestanti-e-sulla-loro-resistenza-agli-erbicidi/
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