Le Organizzazioni di produttori agricoli (OP e loro
associazioni AOP) non sono una novità, soprattutto in alcuni comparti
dell’agricoltura europea e nazionale. Nuovo è invece lo spazio di azione che
gli viene assegnato nel quadro di riforma della PAC, già a partire dal
Regolamento Omnibus.
Le OP sono gruppi di produttori agricoli che intendono
cooperare e si costituiscono legalmente per gestire in comune le fasi a valle
della produzione primaria. Gruppi di OP possono associarsi in AOP per svolgere
in modo più efficace ed efficiente alcune funzioni o per svolgere su una scala
territoriale più vasta. Le OP e AOP hanno interessato inizialmente alcuni
settori, in particolare orto-frutta, latte e derivati, e olio di oliva.
L’attenzione del policy maker europeo si è rivolta a questi
strumenti per la loro funzione economica di realizzare il coordinamento
orizzontale della filiera attraverso la pianificazione, concentrazione e
gestione dell’offerta degli aderenti. In altri termini, le imprese di
produzione primaria che cooperano per gestire in comune l’offerta e collocarla
sul mercato, riescono a superare la strutturale e storica debolezza nei
rapporti di filiera e nelle relazioni contrattuali, attivando un meccanismo che
permette di spuntare prezzi più remunerativi, così redistribuendo valore verso
le fasi a monte della filiera.
L’ OP può svolgere anche attività che permettono di
stabilizzare i prezzi, razionalizzare i costi e offrire accesso a servizi
altamente qualificati, a mercati e tecnologie che sarebbero altrimenti di più
difficile raggiungimento per l’impresa singola. Accanto all’efficienza
economica, l’OP permette anche di collocare sul mercato produzioni di qualità
intrinseca superiore e prodotte con metodi più rispettosi dell’ambiente. Nel
complesso, si tratta di uno strumento che, se ben utilizzato, consente di
conseguire maggiore efficienza e competitività alle filiere agro-alimentari e
maggior forza alla componente agricola nei rapporti con le componenti a valle.
Per potenziare ed estendere l’efficacia di tale strumento di
cooperazione, il Regolamento Omnibus ha introdotto la deroga alla concorrenza
(art. 101 del TFUE) per le OP di tutti i settori, purché riconosciute dallo
Stato membro, che svolgano per i propri aderenti la funzione economica di
concentrare l’offerta e immetterla sul mercato.
Il quadro europeo tra cooperazione consolidata e nuovi
schemi organizzativi
Lo studio “Study of the best ways for producer organisations
to be formed, carry out their activities and be supported” EU Commission,
DG-AGRI, May 2019 , che permette di conoscere meglio le OP europee, è stato
reso noto dalla Commissione al termine di un articolato percorso che ha
attraversato l’ultimo settennato, alla ricerca degli strumenti migliori per
rendere più efficiente la filiera agroalimentare, innalzare e tutelare la
posizione dei produttori agricoli nella filiera. Basata su un’indagine diretta,
la dettagliata analisi rivela, come spesso accade, un quadro a macchia di
leopardo che non facilita interpretazioni di carattere generale.
Dopo una notevole crescita dal 2013 al 2017 (+33%), sono
circa 3.500 le OP e AOP riconosciute, presenti in 25 Stati Membri, ma con
numerose differenze. Oltre 2500 sono in Germania, Spagna, Francia e Italia. Dal
punto di vista settoriale, è ovvio che oltre la metà operi nel settore
ortofrutta, seguito da latte e prodotti lattiero-caseari, olio di oliva e olive
da tavola e vino. Complessivamente sono state riconosciute OP in 22 dei 24
settori riconducibili alle OCM, e in Italia interessano con varia intensità 16
settori.
La dimensione economica delle OP è stata fornita solo per il
settore orto-frutta rivelando una distribuzione su un ampio spettro. Sono solo
40 le OP e AOP che superano i 100 milioni di euro di valore della produzione
commercializzata (VPC), dieci delle quali in Italia. In generale, prevalgono le
dimensioni più contenute, con circa un terzo delle OP che non supera i 5
milioni di euro e quasi la metà che si colloca al di sotto dei 50 milioni di
euro, mentre solo un quinto ha una VPC tra 50 e 100 milioni di euro. Anche in
termini di numerosità dei membri le piccole dimensioni prevalgono: circa il 38%
ha meno di 100 membri ma complessivamente il 90% ne ha meno di 1.000. Spicca in
controtendenza la situazione italiana, dove circa il 25% delle OP ha più di
2.000 membri.
Oltre la metà delle OP riconosciute ha la forma giuridica di
società cooperativa agricola, ma in alcuni Stati - tra cui l’Italia – questa
percentuale è nettamente maggiore. Ciò corrisponde alla natura specifica di
questa storica forma di cooperazione, ma vi sono molte altre forme utilizzate
allo scopo di dare una veste legale all’OP. Resta indubbio che un profondo
radicamento della tradizione cooperativa agricola ha favorito la diffusione
delle OP e AOP. I principali obiettivi delle OP in tutti i settori riguardano
la pianificazione della produzione per il suo adattamento alla domanda, la
concentrazione dell’offerta e la collocazione del prodotto sul mercato. Tra le
altre funzioni, quelle di tipo negoziale per la definizione di contratti
collettivi, caratterizza in particolare le OP del settore latte. Accanto a
queste sono svolte anche attività per l’ottimizzazione dei costi di produzione
o l’adozione di pratiche più rispettose dell’ambiente o l’ottimizzazione dei
vantaggi conseguenti all’adozione di pratiche che tutelano il benessere
animale.
Il futuro è oggi: salti culturali da superare e sfide da
vincere
Gli studiosi che hanno condotto l’indagine stimano che solo
il 9% delle forme aggregative che svolgono funzioni di OP e AOP siano state
riconosciute dallo Stato o dalle Regioni. Considerato il ruolo e il sostegno di
cui potranno godere nel nuovo quadro della PAC, sembra ragionevole
l’aspettativa che tale numero possa incrementare significativamente in tutti i
settori. A fronte di ciò, alcune considerazioni possono essere spese con
riferimento ai salti culturali che sono richiesti e alle principali sfide che
ci pare di intravedere.
Alcuni salti da compiere riguardano la crescita della
cultura imprenditoriale. Come emerge nitidamente dall’indagine diretta di cui
lo studio riferisce, la paura di perdere la propria identità e autonomia di
scelta è uno dei principlai fattori limitanti l’aggregazione delle imprese in
OP. Accanto a ciò vi è anche la scarsa conoscenza dei benefici potenziali che
ne possono derivare, in particolare quelli di natura economica e tecnica, così
come dei reali costi, o la conoscenza di esempi di successo. Per favorire la
crescita delle fiducia in tali organizzazioni collettive basate sulla
cooperazione, potrebbe aiutare l’adozione di strutture di governance
democratiche e di procedure trasparenti nell’assunzione delle decisioni.
Tra le sfide, una ci pare che possa certamente riguardare la
questione della taglia economica. Sebbene l’Italia rientri tra quei Paesi in
cui sono presenti anche OP di dimensioni economiche e numeriche più importanti,
la questione resta un fondamentale fattore di successo in rapporto al settore
in cui operano e alla tipologia di obiettivo che le imprese cooperanti si
prefiggono.
Con riferimento ai settori, per quanto riguarda l’Italia, vi
sono ulteriori potenzialità di crescita delle OP in quelli che oggi non le
utilizzano (ancora), in particolare quello del vino. Se fino a due anni fa si
contavano solo 4 o 5 OP di tale comparto, alla fine del 2018 erano più che
raddoppiate. La peculiare normazione specifica del settore, in particolare per
le produzioni di qualità riconosciuta, ha probabilmente offuscato le
potenzialità di uno strumento che potrebbe suscitare ulteriori e nuovi
interessi nel quadro della prossima programmazione.
Anche con riferimento alle attività che le OP e AOP possono
svolgere vi sono ulteriori spazi di evoluzione e qualificazione delle loro
funzioni. La domanda sociale all’agricoltura chiede che i processi produttivi
siano capaci di “impastare” terra, acqua, semi, equità sociale, tutela
dell’ambiente, contrasto al cambiamento climatico, per fornire cibo sano e
sicuro. E l’adozione di risposte adeguate dipende sempre più dall’innovazione
tecnologica e organizzativa. A tale riguardo, vi sono attività meno esercitate
oggi, che guardano decisamente al futuro. In particolare la ricerca, ambito che
richiede spesso sforzi congiunti per appropriarsi di vantaggi competitivi che
riguardano sia le tecniche di produzione, sia nuovi prodotti, non solo più
graditi al consumatore, ma anche più adatti a essere realizzati nel contesto
ambientale e climatico che cambia. Inoltre, anche la gestione in comune dei
rifiuti è una tipologia di attività che potrà avere maggiore attrattività con
riferimento all’affermazione di modelli di economia circolare che si fondano
sul rinnovato valore di quelli che non saranno più inutili “scarti” da
rigettare nell’ambiente, ma nuove preziose materie prime.
Proprio a queste tipologia di attività potrebbero essere
obbligatoriamente destinate parte delle azioni dei programmi operativi delle OP
di tutti i settori che, come già accade per quelle dell’orto-frutticolo,
dovrebbero trovare specifico sostegno nella PAC 2021-2027.
AUTORE: Daniela Toccaceli
Fonte: Accademia dei Georgofili
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