E' vero, non fa più notizia. Da anni ormai i costruttori italiani stanno chiedendo
una soluzione al problema dell’applicazione della normativa europea sulle
emissioni ai trattori vigneto e frutteto. E una prima proroga era stata
concessa dalla Commissione nel 2011 ed è servita per adeguare le macchine
all’attuale Fase 3B, ma adesso è arrivato lo scoglio più duro da superare e
quindi la questione merita ulteriori spazi di comunicazione. In un recente
comunicato, infatti, FederUnacoma ha sottolineato come la possibilità di
equipaggiare le trattrici per vigneto e frutteto (T2) con i motori e i
dispositivi previsti per la “Fase Quattro” sia materia più che mai controversa,
dopo gli esiti dello studio tecnico che la Direzione Generale Impresa e
Industria della Commissione Europea ha affidato alla società britannica
Transport Research Laboratory TRL, e che è stato reso pubblico il 18 dicembre
2014. Il documento si pronunciava per una sostanziale compatibilità dei futuri
trattori Fase Quattro con le esigenze operative nei vigneti e nei frutteti (sia
pure riconoscendo un certo livello di “penalizzazione” per le prestazioni dei
trattori), creando le premesse perché la Commissione respinga la richiesta dei
costruttori di un rinvio dei termini di applicazione della normativa.
Una
valutazione errata
A
giudizio dei costruttori italiani la relazione prodotta da TRL conteneva errori
di metodo, e valutazioni non corrette anche nel merito, e rischia di mettere la
Commissione su una pista sbagliata. In primo luogo – sostengono i costruttori –
i rilievi tecnici del TRL sono stati effettuati su una tipologia di motore non
agricolo, quindi non comparabile con le caratteristiche dei motori per le
trattrici, soprattutto per quanto riguarda le soluzioni tecnologiche nei
dispositivi antinquinamento.
In
secondo luogo, i costruttori non condividono l’aspettativa – espressa nel
documento TRL – che l’industria motoristica possa compiere uno sforzo per
adeguare i nuovi motori alle esigenze specifiche dei trattori stretti, rendendo
possibile l’applicazione della normativa nei tempi previsti. Secondo i
costruttori questa ipotesi sarebbe non realistica, in considerazione del fatto
che il mercato dei trattori stretti presenta numeri troppo piccoli perché
l’industria motoristica possa realizzare tecnologie “ad hoc” (circa 20mila
unità annue in Europa, rispetto ai milioni di unità dell’automotive). Infine,
il documento suggerisce che al maggiore ingombro delle macchine, conseguente all’attuazione
della Fase Quattro, si possa ovviare modificando in parte gli attuali assetti
colturali, fatto che rappresenterebbe un danno per le imprese agricole; e che
contrasta con un indirizzo di politica comunitaria che negli ultimi anni ha
invece incentivato il compattamento dei sesti d’impianto per le colture
specializzate, spingendo anche l’industria a realizzare macchine sempre più
agili e di dimensioni contenute.
Le
proposte di FederUnacoma
«Stiamo
lavorando per modificare le macchine in funzione della Fase Tre B – aveva detto
in occasione del Sima di Parigi il presidente di FederUnacoma Massimo Goldoni –
che deve entrare a regime entro la fine del 2016 e già dobbiamo preoccuparci
delle ulteriori trasformazioni che saranno rese necessarie entro il 2019 per la
Fase Quattro, ed entro il 2022 per la Fase Cinque. Sì, tecnologicamente i
motori sono fattibili, ma serve spazio nel motore e per i trattori
specialistici questo è un problema. Noi italiani che siamo i costruttori numeri
uno nel mondo in questo settore lo sappiamo bene. Insomma, non possiamo
stravolgere le macchine per una normativa scritta a Bruxelles, lo spirito di
standardizzazione in questo caso è fuorviante. Che dire poi dei paesi emergenti
al di fuori dell’Europa dove se va bene siamo fermi allo Step 1? Il rischio
grave è che la Commissione valuti con poca attenzione le istanze dei
costruttori, perché riferite a un numero di mezzi relativamente limitato senza
considerare le conseguenze pesantissime, in termini produttivi e occupazionali,
che si avrebbero su questo comparto della meccanica, che non ha le economie di
scala per ammortizzare i costi delle continue evoluzioni normative, e che
perderebbe importanti quote di mercato laddove dovesse rinunciare a quelle
caratteristiche di agilità e compattezza richieste dagli agricoltori. L’uscita
dal mercato delle nuove trattrici specializzate e quindi il mancato ricambio
del parco – concludeva Goldoni – comporterebbe, paradossalmente, una permanenza
delle macchine obsolete nelle aziende agricole, con un impatto ambientale
negativo e una vanificazione degli scopi stessi per i quali la normativa motori
è stata varata. La nostra proposta è quella di prorogare la fase IV al 2020
oppure passare direttamente alla fase V, saltando di fatto la fase IV».nTutto
questo, tra l’altro, capita in una fase in cui il mercato italiano delle
trattrici specializzate sta seguendo un trend inverso rispetto a quello dei
trattori standard, in quanto negli ultimi tre anni è sempre aumentato (vedi
tabella pagina precedente), tanto che nel primo trimestre 2015 è arrivato a
rappresentare un terzo del totale trattori venduti in Italia.
Un
“giro di vite” illogico
Il
comparto dei trattori, interessato dalla normativa, ha un giro d’affari di
oltre 2 miliardi di euro (sui circa 8 miliardi complessivi della meccanica
agricola) e impegna circa 10 mila addetti fra dipendenti diretti e indotto
(sugli oltre 100mila del settore); dunque l’applicazione della normativa nei
modi e nei tempi attualmente previsti rischia di avere effetti molto pesanti
sul business e sull’occupazione. E così la gravità della situazione ha portato
Assotrattori, l’associazione che in seno a FederUnacoma rappresenta le aziende
produttrici, a ripresentarsi in sede comunitaria, dove è in pieno svolgimento
l’iter di revisione del provvedimento sulle emissioni dei motori non stradali.
Una
nuova deroga darebbe, oggi, maggiore prospettiva a un settore che è costretto a
inseguire i continui adeguamenti normativi e che entro il 2020 sarà chiamato a
un ulteriore “step”, quello della Fase 5. Il giro di vite che queste normative
sempre più vincolanti stanno dando al comparto dei trattori, e di quelli
“stretti” in modo particolare, produce un paradosso: danneggia le imprese e
nello stesso tempo, rendendo i trattori meno efficienti e più costosi, rallenta
– anziché promuovere – qualsiasi processo di rinnovo del parco macchine, e
quindi qualsiasi possibilità di miglioramento in senso ambientale.
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