La mietitura, effettuata tra fine giugno e inizio luglio, si
svolgeva con una lunga falcetta, accuratamente battuta e ogni tanto affilata
dalla cote. Nella mano che teneva il mazzo grano da recidere, per protezione
delle dita, il mezzadro infilava i cannilli, tra piccoli cilindri di canna o
latta, indossati a mo’ di guanto. La mietitura, bassa e radente al terreno,
richiedeva ingente manodopera; ad ogni mietitore era affidata una striscia e
quello di sinistra iniziava per primo. Durante il taglio si lasciavano venti
centimetri di stoppia se in mezzo al grano erano state seminate erbe da
foraggio. Via via che tagliavano, i mietitori riponevano a terra il grano a
piccole brancate, le quali erano raccolte in mucchi dai ragazzini impegnati nel
lavoro. Il mietitore poi legava i covoni nel balzo, senza lasciare la falce. A
sera, si raccoglievano tanti piccoli cavalletti di diciassette o ventuno
covoni. La giornata lavorativa durava dall’alba al tramonto. Si consumava il
vitto in campagna. Il grano, trasportato con tregge (slitte di legno) o carri
trainati da buoi, veniva radunato sull’aia con la collaborazione degli altri
mezzadri del paese. Si formava così un mucchio compatto, lu varcone, che
richiedeva una perfezionata tecnica di assembramento. Per la trebbiatura,
quindici giorni dopo la mietitura, erano impegnati 20 – 25 uomini e si
ricorreva ancora all’aiuto dei vicini, con i quali, poi, scambiare la
prestazione. Per i varconi più grandi il lavoro iniziava poco dopo la
mezzanotte. I trebbiatori provenivano da Ponte La Trave, Macerata, Corridonia e
altre località del piano. Con i buoi si trainavano le macchine (il motore con
caldaia a vapore, la trebbiatrice, e più tardi, la scala per la paglia) da una
casa all’altra. Il vergaro (il capofamiglia) assegnava i diversi lavori secondo
le capacità. Gli addetti al varcone, quattro operai con forche di legno,
prendevano i covoni e li gettavano sulla trebbiatrice dove venivano raccolti da
una donna. Questa li consegnava ad altre due, ai lati dell’imboccatore, le
quali, con il falcetto tagliavano il balzo. L’imboccatore infilava, a tempo, i
covoni dentro il battitore mentre, dentro la trebbiatrice, tre uomini badavano
ai sacchi di grano. Per formare il pagliaio occorrevano 4 lavoranti sopra e uno
a guidare sotto; cinque portavano la paglia con le forche dalla trebbiatrice al
pagliaio. Per il pagliaio della pula occorrevano due operai sopra al mucchio,
mentre altri due caricavano con grandi forche la pula, tirata in disparte da
una coppia di lavoranti con rastrelli. All’inizio e alla fine della trebbiatura
la caldaia mandava un lungo fischio, per avvertire dell’adunata e per mettere
in preallarme la casa successiva, da dove il mezzadro partiva con i buoi per
prendere le macchine.
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