Si accende la speranza dei ricercatori di trovare proprio
fra gli ulivi salentini la soluzione «genetica» definitiva alla malattia,
considerata ormai non più eradicabile in gran parte del Salento.
La speranza di salvare l’olivicoltura del Salento dalla
Xylella che l’ha colpita in questi anni e che non si riesce a debellare,
potrebbe essere a portata di mano e cioè nelle piante di olivo selvatico che si
trovano proprio nella zona rossa dell’olivicoltura salentina.
Questa affermazione è il frutto di un ricerca, partita da
un’intuizione dell’imprenditore agricolo Giovanni Melcarne, che è stata
condotta da Cnr (Ipsp di Bari e Ibbr di Perugia), Università di Bari e centro
«Basile Caramia». Ad accendere l’interesse dei ricercatori, il ritrovamento in
zone fortemente contaminate dal batterio, di 10 esemplari unici di olivastri
asintomatici negli agri di Presicce, Ugento e Castrignano del Capo, risultati
tutti negativi alle analisi per Xylella ripetute tre volte in un arco temporale
di sei mesi. I dieci olivastri (o semenzali) sono stati intercettati dopo una
perlustrazione capillare di «selvatici» e si trovano tutti vicino a ulivi
risultati dalle analisi in laboratorio carichi di batterio.
I ricercatori sono rimasti, infatti, colpiti dalla completa
immunità degli olivastri che non presentavano assolutamente il batterio della
Xylella a differenza degli altri olivi e delle modalità di trasmissione della
malattia, risultate particolarmente facili.
L’entusiasmo è dovuto anche al fatto che la ricerca sui
semenzali locali potrebbe portare a provare e ad individuare fattori di
resistenza, tolleranza o addirittura immunità a Xylella fastidiosa. La speranza
è quella di trovare proprio fra gli ulivi salentini la soluzione «genetica»
definitiva alla malattia, considerata ormai non più eradicabile in gran parte
del Salento.
Da una prima analisi dei profili genetici dei 10 semenzali è
emerso, oltre ad un’eccezionale variabilità genetica, il fatto che alcuni di
essi sono «figli» delle cultivar locali Cellina di Nardò e Ogliarola Salentina.
E da questa «progenie» si potrebbero preservare, tramite eventuali nuove
varietà locali, alcune delle caratteristiche delle cultivar autoctone
dominanti, oggi a rischio di estinzione nel Salento proprio per colpa del
batterio.
Il salvataggio dell’olivicoltura del Salento viene ritenuta
possibile dai ricercatori per due motivi: la quasi totalità delle attuali
varietà mondiali di olivo deriva proprio dalla selezione operata dagli
agricoltori per scopi produttivi e qualitativi, di semenzali spontanei e non da
incroci controllati, questi ultimi solo recentemente avviati sull’olivo; e,
inoltre, nel Salento vi sono numerosi esemplari selvatici, tutti geneticamente
diversi e rappresentanti un’importante banca di geni e caratteri locali che
potrà essere utilizzata per risolvere la situazione conseguente alla fitopatia.
La ricerca dovrebbe concludersi in breve tempo in quanto si
è già provveduto a innestare le marze di questi 10 olivastri su piante infette
di Ogliarola in campo, come lo è stato per le 250 cultivar nel progetto
“Xylella quick tollerance test”, nonchè su semenzali infetti in ambiente
controllato.
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