"Filiera Italia" non è la panacea. Si continuano
ad illudere gli agricoltori prima con l'etichetta obbligatoria poi con pseudo
contratti di filiera, senza risolvere i problemi strutturali del settore. Dino
Scanavino, presidente nazionale Cia-Agricoltori Italiani, scrive agli associati
per promuovere un impegno condiviso a far emergere la verità.
Cari Associati,
La crescita competitiva del sistema agroalimentare italiano
è stata storicamente condizionata, in negativo, dalla scarsa concentrazione
dell’offerta produttiva e dal disequilibrio dei rapporti di filiera. Sono
ostacoli insormontabili in modo evidente per le imprese meno strutturate,
ovvero quelle collocate in una posizione negoziale più debole lungo la catena
del valore. Una situazione insostenibile che si traduce in ridotte capacità
d’investimenti, costi ingiustificati e profitti inferiori alle attese.
Partendo da questa breve premessa, voglio affidare a queste
poche righe alcune mieriflessioni e condividerle con voi, nella speranza di
aprire un proficuo dibattito attorno a recenti iniziative che, sbandierate in
pompa magna come la panacea di tutti i mali, nascondono, invece, al loro
interno preoccupanti inganni nei confronti degli agricoltori.
Il riferimento è a “Filiera Italia” che, come leggo sul web,
si candiderebbe arappresentare un “grande progetto che per la prima volta vede
agricoltura e industria alimentare italiana d’eccellenza insieme per difendere,
sostenere e valorizzare il Made in Italy”. La realtà dei fatti è di tutt’altro
ordine. Ad essere sacrificati sull’altare del populismo sono gli agricoltori.
In particolare quelli rappresentati dalla Coldiretti capofila della cordata e
che, pur non avendo alcun titolo per stipulare contratti di fornitura, si
arroga un diritto che non le spetta. Non è difficile intuire che si tratti di
una manovra squisitamente mediatica realizzata, ancora una volta, sulla pelle
delle imprese agricole. A trarne beneficio, un gruppo ristretto di imprenditori
“amici” appartenenti alla sfera agroindustriale.
Un’operazione dai contorni opachi che sembra riportarci ad
un passato, che speravamo ormai dimenticato, dove gli agricoltori erano
costretti a dividere i loro profitti con i più forti e i rapporti contrattuali
erano caratterizzati da forme di sudditanza negoziale e di dipendenza personale
a sfavore dei più deboli. Cia-Agricoltori italiani ha sempre posto al centro
della sua visione strategica le politiche di filiera. Sono i modelli scelti e
le soluzioni individuate ad essere, fortunatamente aggiungo, diametralmente
opposti a quelli riconducibili a “Filiera Italia”.
Noi puntiamo su una progettazione di filiera condivisa,
senza posizioni dominanti e di subalternità. Vogliamo affermare una filiera
alla pari con l’agricoltura centrale e strategica, così come lo devono essere
l’agroindustria, la commercializzazione e i consumatori.
Questo significa in primo luogo rafforzare le strategie che
mirano all’aggregazione e allo sviluppo dell’economia contrattuale. Il modello
di contrattazione su cui puntiamo è quello che fa riferimento alla
cooperazione, alle OP “vere”, partecipate e controllate dagli agricoltori e
operative nei mercati.
Scendendo più a valle, nell’ambito dell’innovazione
organizzativa siamo impegnati per l’eliminazione delle pratiche commerciali
sleali lungo la filiera e per favorire una regolazione autogestita mediante
organismi interprofessionali efficaci. Organizzazioni che, in piena sintonia
con le regole comunitarie, devono essere uniche, nazionali, costituite dalle
rappresentanze delle attività economiche, dalla produzione agricola ai
consumatori, con un forte protagonismo delle imprese.
È questa la nostra visione, animata da un unico scopo: la
valorizzazione sui mercati del Made in Italy agroalimentare da attuarsi
mediante uno schema complessivo.
In tale ottica, fatta eccezione per i prodotti ad
Indicazione Geografica, l’approccio ai sistemi di etichettatura della materia
prima agricola dovrebbe essere facoltativo e flessibile.
Siamo convinti,
infatti, che se gli agricoltori potessero liberamente scegliere se dotarsi o
meno di un sistema di etichettatura, sceglierebbero l’indicazione su base
volontaria, che diventerebbe così un elemento negoziale vincente all’interno
dei rapporti di filiera.
Al contrario, un obbligo calato dall’alto, finirebbe per
essere un’arma spuntata in mano alle imprese agricole, generando confusione tra
i consumatori che, dopo tanti anni e difficoltà, iniziano ad orientare le loro
scelte verso prodotti di qualità riconducibili a quei sistemi di etichettatura
europei.
L’aggregazione non è un bene in sé, lo diventa se permette
di raggiungere potenzialità economiche efficaci nelle strategie di mercato.
Vi chiedo quindi di darmi una mano per aprire il dibattito
all’interno della nostra organizzazione su questo tema e portarlo fuori con
incisive azioni comunicative.
Abbiamo la missione di informare i nostri colleghi
imprenditori agricoli sui rischi che corriamo, inseguendo annunci e proclami,
finalizzati solo a fare propaganda e che la Coldiretti usa per ingannare
consumatori e soprattutto noi agricoltori.
Dino Scanavino
Presidente nazionale Cia-Agricoltori Italiani
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