Conservare la fertilità del suolo e la biodiversità,
favorire il risparmio energetico, ridurre le emissioni di CO2: ecco le più
importanti sfide di un’agricoltura biologica che sempre più guarda alla sostenibilità
ambientale. E proprio questi sono gli obiettivi di Soilveg, il progetto europeo
triennale, coordinato dal CREA Agricoltura e Ambiente, i cui risultati finali
vengono presentati oggi a Roma, presso la sede della Società Geografica
Italiana.
I ricercatori, dei diversi Paesi europei partner (Slovenia,
Danimarca, Spagna, Estonia, Belgio, Francia e Lettonia, mentre per l’Italia c’è
anche l’università di Bologna) si sono concentrati sulla non lavorazione –
insieme di tecniche per seminare o trapiantare una coltura senza o quasi
lavorare il terreno, che comporta vantaggi ambientali a fronte di rese
inferiori – e sull’introduzione di colture di servizio agro-ecologico – cioè
finalizzate non al reddito, ma ai servizi ecosistemici (es. impollinazione,
controllo erosione, riduzione del dilavamento degli elementi nutritivi,
riduzione dell’uso dei fertilizzanti azotati, se leguminose). La non
lavorazione del suolo è abbinata all’uso del rullo pacciamante: si tratta di un
rullo sagomato, utilizzato per allettare le colture di servizio agroecologico,
invece di interrarle con una lavorazione (sovescio, che è la pratica ad oggi
più diffusa), e permettere quindi la semina o il trapianto della successiva
coltura da reddito. Ed è con questa modalità che sono stati coltivati in
biologico: cavolfiore, peperone, pomodoro, zucca, utilizzando come colture di
servizio agroecologico: favino, veccia, orzo, grano saraceno, secale.
“L’identificazione delle specie di servizio agro ecologico
più adatte e le proporzioni delle diverse specie e famiglie negli eventuali
miscugli di semina sono aspetti cruciali da considerare per ottimizzare
localmente questa tecnica – spiega il
coordinatore del progetto Stefano Canali, ricercatore CREA – Inoltre, il
cantiere di lavoro utilizzato deve essere adeguato ed adattato alle condizioni
specifiche del suolo”.
I risultati di Soilveg evidenziano come la tecnica della non
lavorazione abbia un impatto positivo sui parametri microbici, indicatore
importante della qualità del suolo. In generale, la densità delle infestanti è
stata notevolmente inferiore nelle varianti non lavorate rispetto a quelle
lavorate. E si è potuto riscontrare che le comunità vegetali delle parcelle
lavorate, laddove la coltura di servizio agroecologico è stata sovesciata, sono
state caratterizzate da piante infestanti annuali più competitive, con maggiore
superficie fogliare specifica, maggiore altezza e con più lungo periodo di
fioritura. La non lavorazione ha avuto risvolti positivi anche per la
biodiversità delle comunità di artropodi predatori del suolo: infatti, la
densità dei coleotteri del suolo (Carabidae), di altri insetti predatori (es.
Staphylinidae), e in alcuni paesi anche di ragni, è risultata maggiore rispetto
alle parcelle test lavorate. Inoltre, il consumo energetico è stato ridotto in
media del 20% per unità di superficie nelle parcelle non lavorate rispetto alle
varianti lavorate con il sovescio, mentre nella non lavorazione risultano
minori anche le emissioni di gas serra.
Le attività del progetto hanno consentito di identificare le
principali criticità della tecnica di non lavorazione basata sull’utilizzo del
rullo pacciamante. I ricercatori sono stati impegnati nell’adattare questa
tecnica alle necessità locali, migliorando sia l’aspetto tecnico che quello ambientale
e, allo stesso tempo, riducendo il suo impatto negativo su qualità e quantità
della produzione.
Fonte: Crea
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