Insieme all’acqua e all’aria, il suolo è essenziale per
l’esistenza delle specie presenti sul pianeta, svolgendo un ruolo centrale in
quello che definiamo ecosistema. Organismo complesso e fragile, alla stregua di
tutti gli altri essere viventi, nasce, si evolve in tempi molto lunghi, si
trasforma e, con più facilità di quanto possiamo erroneamente pensare, si
ammala talvolta mortalmente.
Come per gli esseri umani, i sintomi di queste malattie non
sono sempre visibili: è così nel caso dell’inquinamento del suolo, un problema
estremamente serio che per troppo tempo è stato sottovalutato, ignorato e non
affrontato. Un problema che coinvolge tutti: un suolo degradato mette infatti a
serio rischio la nostra sicurezza alimentare ripercuotendosi su aria, acqua e ovviamente
cibo.
La FAO, nel suo ultimo rapporto rilasciato la scorsa
settimana (Soil Pollution: A Hidden Reality), ha lanciato un allarme chiaro.
L’inquinamento del suolo rappresenta una minaccia sempre più preoccupante anche
per la mancanza di informazioni adeguate: l’ultima ed anche unica stima fatta a
livello globale sull’inquinamento del suolo risale agli anni ‘90.
All’epoca si contarono 22 miliardi di ettari inquinati, un
numero già allora impressionante che secondo le proiezioni della FAO non può che
essere cresciuto, anche a ritmo sostenuto. Non solo, ma un’inversione del trend
non sembra all’orizzonte, almeno nel breve periodo: le cause di questo
disastro, infatti, sono legate a tutte quelle attività antropiche che sono
proprie del sistema economico in cui siamo immersi e che sono ormai entrate a
pieno titolo a far parte delle abitudini quotidiane di ognuno di noi.
Dall’eccessiva produzione di rifiuti domestici, urbani e
zootecnici al massiccio impiego di pesticidi e fertilizzanti in agricoltura; dall’estrazione
mineraria alla fusione e produzione di materiali derivati dal petrolio fino
all’utilizzo di plastica “usa e getta” che viene troppo spesso dispersa
nell’ambiente; dalle emissioni generate dai trasporti fino ai rifiuti
elettronici: tutti fattori che contribuiscono all’aggravarsi del problema.
La produzione dell’industria chimica è cresciuta rapidamente
negli ultimi decenni e aumenterà annualmente del 3,4% fino al 2030; la
produzione globale di rifiuti solidi urbani aumenterà di 2,2 miliardi di
tonnellate l’anno; circa 110 milioni di mine inesplose sono sparse nel mondo
rilasciando metalli pesanti (quando non facendo feriti o morti) e l’industria
bellica non sembra volersi fermare: la situazione è decisamente allarmante,
nella sostanza stiamo giocando con il fuoco.
Il suolo è infatti una risorsa limitata non rinnovabile che
gioca un ruolo cruciale per la nostra sopravvivenza. Dal suo stato di salute
dipende la biomassa vegetale su cui si sostiene tutta la catena alimentare.
È nel suolo che i semi trovano la loro culla e che le piante
trovano gli elementi nutrizionali necessari alla loro crescita e sviluppo. Ci
domandiamo spesso come poter nutrire il pianeta senza capire che la condicio
sine qua non per farlo è nutrire prima di tutto l’humus, la risorsa naturale
senza la quale il genere umano non potrebbe alimentarsi.
C’è bisogno di una maggiore consapevolezza da parte dei
cittadini e di più ricerca a livello istituzionale: lo studio della FAO è
sicuramente un primo passo per tentare di capire meglio la questione e
formulare soluzioni globali e sistemiche per limitare i danni, ma sappiamo bene
che le azioni legislative spettano poi ai singoli governi.
Basti pensare a questo proposito che al momento il suolo non
è soggetto a norme coerenti nei Paesi dell’Unione Europea e che le politiche
comunitarie esistenti in altri settori non sono sufficienti a garantire un
adeguato livello di protezione per tutti i suoli in Europa. Urge un cambio di
marcia deciso e determinato.
L’approccio produttivista applicato anche al settore
agricolo e la conseguente riduzione del cibo a mera commodity ha portato a non
considerare più la terra come bene comune ma come semplice input di un processo
industriale. È una contraddizione in termini: al posto di ringraziare la nostra
nutrice, la avveleniamo, mettendo a rischio la sua vita e, di conseguenza, la
nostra.
Carlo Petrini
da La Repubblica del 23 maggio 2018
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