
Con il ritorno dei voucher in agricoltura si riaffermano i
principi originari senza gli abusi che si sono verificati in altri settori e si
assicura al settore uno strumento agile, flessibile che semplifica rispondendo
soprattutto ad un criterio di tempestività tipica di una attività condizionata
dalla natura ma che offre anche una opportunità di integrare il reddito delle
categorie più deboli. I voucher ritornano a dieci anni della loro introduzione
in Italia che è avvenuta il 19 agosto 2008 con circolare Inps che per la prima
volta autorizzava la raccolta dell’uva attraverso voucher con l’obiettivo di
ridurre burocrazia, riconoscendo la specificità del lavoro agricolo. Nel corso degli anni successivi
all’introduzione nel 2008 è stato allargata la possibilità di utilizzo alle
altre attività di agricole, ma il settore è rimasto fedele all’originaria
disciplina “sperimentale” con tutte le iniziali limitazioni (solo lavoro
stagionale e solo pensionati, studenti, cassintegrati e disoccupati) a
differenza degli altri comparti produttivi.
Meno del 2% del totale dei voucher è stato impiegato in
agricoltura dove sono nati e rappresentano un valido contributo all’emersione
del lavoro sommerso. Non è un caso che il numero di voucher impiegati in
agricoltura sia praticamente rimasto stabile dal 2011 senza gli abusi che si
sono verificati in altri comparti. In agricoltura sono stati venduti negli
ultimi cinque anni prima dell’abrogazione poco più di 2 milioni di voucher, più
o meno gli stessi dei 5 anni precedenti, pari all’incirca a 350mila
giornate/anno di lavoro. Il valore complessivo delle integrazioni di reddito
accordate per le prestazioni a pensionati, studenti, cassintegrati e
disoccupati ammonta a circa 22 milioni di euro all’anno mentre la regione dove
sono stati più impiegati è il Veneto con poco più di ¼ del totale.
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