Negli anni ’90, in terra
spagnola, presero piede le varie tecniche destinate alla coltivazione
superintensiva di olivi. A distanza di più di 20 anni, l’olivicoltura
superintensiva in Italia rappresenta lo 0,2% rispetto al totale degli oliveti
presenti in tutta la nazione, mentre in Spagna rappresenta il 2%.
Questi dati ci vengono forniti da Donato Miccolis, classe ’97, laureando in
Scienze e Tecniche Agrarie, attualmente impegnato nel suo lavoro di tesi su
“Gestione biologica del superintensivo” con specifico riferimento
all’olivicoltura. Egli dunque approfondisce il superintensivo, ma nella sua
gestione biologica e con un occhio ai mercati internazionali, a proposito dei
quali dice: “Constatata l’elevata competitività da parte di Spagna, Tunisia,
Grecia e Marocco e preso atto del valore sul mercato dell’olio EVO biologico,
l’Italia potrebbe meglio competere investendo nella olivicoltura biologica
superintensiva”. “La Puglia è la patria italiana dell’olio, eppure – precisa –
nel suo territorio sono presenti meno di dieci aziende dedicate al
superintensivo biologico”.
Investire su quanto detto non è proprio un azzardo, poiché la bassa vigoria
delle cultivar del superintensivo comporta una produttività tempestiva: dopo
2/3 anni c’è già l’entrata in produzione con una stima di circa 4 tonnellate
per ettaro, per poi raggiunge la decina dal quarto anno.
Se sorprende tanta tempestività, non meravigliano le quantità: gli impianti
superintensivi prevedono poca distanza a separare gli alberi, la cui gestione
della chioma li mantiene sostanzialmente piccoli per evitare che competano tra
loro, anche solo ombreggiandosi l’un l’altro. Tale disposizione permette maggiore
efficienza produttiva ed inoltre la meccanizzazione della raccolta mediante le
scavallatrici: in 2 ore raccolgono quanto un uomo può in 18 ore, permettendo
quindi una migliore gestione dei contoterzisti. In conclusione Miccolis ci
lascia con un suggerimento: “Le cultivar del superintensivo risultano più
resistenti alla Xylella, ormai alle porte di Locorotondo, indi per cui possono
compensare la morìa di ulivi cui assistiamo, senza rinunciare, ma anzi
incrementando la produttività del settore”.
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