La Jatropha è una
pianta rustica, i cui semi tossici sono usati per produrre biodiesel.
Originaria del Messico, è sbarcata in Calabria e molti agricoltori guardano con
interesse alle sue potenzialità.
La chiamano 'oro
verde del deserto' e oggi molti agricoltori italiani guardano con speranza alla
Jatropha per fare quadrare i conti. In un periodo in cui i prezzi di mercato
non ripagano i coltivatori per il proprio lavoro, sono molte le aziende
agricole che cercano coltivazioni alternative.
Abbiamo già parlato
delle potenzialità del bambù gigante e della canapa, ma per chi vive negli
areali del Sud Italia una possibilità è la coltivazione della Jatropha.
La Jatropha curcas
è un arbusto che può raggiungere i cinque metri di altezza. E' originario del
Centro America e fu portato nel resto del mondo durante il diciottesimo secolo
dai colonialismo europeo. Oggi si coltiva in India, Africa e anche in
Australia.
E' una pianta
rustica, che ama i climi caldi e resiste bene agli stress idrici. Anche se in
passato è stata coltivata per recintare i terreni, oggi ad interessare gli
agricoltori sono i semi, da cui si estrae un olio di ottima qualità, anche se
tossico, adatto alla produzione di biodiesel.
Ma della Jatropha
non si butta via niente: le foglie vengono lavorate per estrarre composti
chimici utili per la produzione di agrofarmaci bio.
Insomma, la
Jatropha è una pianta che richiede poche cure, ma i cui usi sono molto vari.
"La nostra società produce materiali innovativi a partire dalla
Jatropha", spiega ad AgroNotizie Giovanni Venturini Del Greco, ceo
diAgrOil.
"Usiamo l'olio
per produrre bioplastiche, lubrificanti industriali e biodiesel, anche per gli
aerei. Guardiamo poi alla frazione proteica per la produzione dimangimi
attraverso la detossificazione, ma anche a impieghi industriali come la
produzione di collanti e resine. Estraiamo infine sostanze bioattive per
produrre agrofarmaci bio e biorepellenti".
Ma la Jatropha in
Italia può essere coltivata? La risposta è sì, anche se ad oggi ci sono solo
delle colture sperimentali in Calabria.
Questo arbusto, che
fa parte della famiglia delle Euforbiacee, è originario della zona
subequatoriale e prospera con temperature che oscillano tra i 25 e i 35 gradi e
ha bisogno di pochissima acqua, appena 250 millilitri di pioggia all'anno.
Tuttavia per avere
una produzione ottimale servono areali in cui non si scende mai sotto i 14
gradi e in cui cadono almeno 400-600 millilitri d'acqua all'anno.
"La Jatropha
si adatta bene al clima calabrese", spiega ad AgroNotizieFrancesco
Tassone, agronomo e profondo conoscitore di questo arbusto."Cresce in
terreni marginali, altrimenti lasciati incolti, poveri di sostanza organica,
sabbiosi, con elevato contenuto salino. Oltre al suo valore energetico la
Jatropha è una pianta che può essere usata per contrastare ildissesto
idrogeologico e proteggere i terreni a rischio desertificazione".
In Calabria
guardano dunque con interesse a questa specie, sia per la produzione di olio
che di altri prodotti. "La Jatropha è ideale per la produzione di
agrofarmaci bio", spiega ancora Tassone.
"Contiene ben
128 composti tossici che la rendono non commestibile dagli animali. Ma con i
dovuti trattamenti queste sostanze possono essere estratte e utilizzate per
produrre agrofarmaci totalmente biodegradabili".
Le coltivazioni in
Italia sono dunque possibili, ma quali sono costi e rese? Prima di tutto
bisogna dire che la Jatropha è ancora una pianta selvatica. I semi in commercio
(difficili da reperire sul mercato italiano) non assicuranoproduzioni costanti.
La JOil, società di Singapore e partner di AgrOil, sta proprio lavorando sul
miglioramento genetico delle piante, in modo da selezionare varietà che
garantiscano rese alte e costanti.
La semina deve
avvenire ad una profondità di 2-3 centimetri, con terrenocaldo e umido. I semi
impiegano una decina di giorni a germogliare e anche se non necessitano di
concimazione è bene assicurare alla pianta il nutrimento necessario alla
crescita. Nel giro di due anni gli arbusti entrano in produzione. Non hanno
bisogno di agrofarmaci né di particolari cure.
Con un sesto di
impianto fitto, pari a 5mila piante per ettaro, si possono ottenere fino a 10
tonnellate di semi, da cui si estrae il 25-40 per cento di olio (quindi tra i
2.500 e i 4mila litri).
Per sesti di
impianto meno fitti, intorno alle 2mila-2.500 piante, si scende ad una
produzione intorno ai 1.800 litri per ettaro. I prezzi di mercato sono, per
loro natura, variabili, ma attualmente si aggirano intorno ai 7-800 euro a
tonnellata.
Ricavi di tutto
rispetto dunque. Ci sono però alcuni punti interrogativi sulla reale
possibilità che la Jatropha venga coltivata in Italia.
Prima di tutto
l'assenza di varietà selezionate per gli areali del Sud, capaci di dare dunque
rese costanti in un territorio che non ha mai conosciuto questo tipo di
coltivazione.
C'è poi un problema
di filiera. Anche se società come la AgrOil comprano regolarmente semi di
Jatropha in Africa per poi lavorarli in Italia, manca ancora un comparto
strutturato che vada dalle ditte sementiere (o vivai) fino ai macchinari per la
raccolta e la lavorazione dei semi.
A questo si
aggiunge la questione della tossicità. L'olio di Jatropha è velenoso e dunque
la raccolta e la spremitura devono essere effettuati con tutte le precauzioni
del caso, per evitare di mettere in pericolo la salute degli agricoltori e la
contaminazione di altre derrate.
Bisogna infine
riflettere su quale modello di sviluppo agricolo si vuole perseguire.
La Jatropha è una
pianta che ben si adatta a crescere in terreni marginali e dunque non deve
essere necessariamente intesa come sostitutiva di altre colture.
Ma il rischio è
che, nonostante la popolazione del nostro pianeta sia costantemente in
crescita, gli agricoltori trovino economicamente più vantaggioso destinare i
propri campi ad usi energetici piuttosto che alimentari.
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