Il modo in cui una città utilizza e riutilizza lo spazio ha
un forte impatto sulla sua identità, sul benessere degli abitanti e anche
sull’economia locale. In un momento come quello attuale in cui si indaga sulle
soluzioni urbanistiche da adottare per rispondere al fenomeno crescente
dell’urbanizzazione senza tralasciare aspetti di sostenibilità, le cosiddette
agrihood sono una delle idee più interessanti da esplorare.
Agricoltura di quartiere per la rigenerazione urbana
Il concetto di agrihood, che potremmo tradurre in
agricoltura di quartiere, è ancora fluido, in via di definizione, perché
tutt’ora in evoluzione. In termini generali si tratta di un modello alternativo
di sviluppo e riqualificazione dei quartieri, dove l’agricoltura diventa il
mezzo principale attorno il quale costruire o ri-costruire un senso di
comunità. Un progetto di rigenerazione urbana dove si fondono aspetti sociali,
economici e di sicurezza alimentare.
A differenza degli ormai noti orti urbani, che stanno crescendo
a vista d’occhio negli ultimi anni, e anche delle società agricole che
generalmente sorgono nelle aree rurali periferiche, le agrihood si sviluppano
in città e non sono dei semplici spazi da coltivare ma sono parte di un
progetto più articolato.
Michigan Urban Farming Initiative: un’agrihood a Detroit
Uno fra gli esempi più virtuosi e meglio riusciti è
sicuramente quello sviluppato in un quartiere di Detroit, gestito dalla
Michigan Urban Farming Initiative (MUFI). Si tratta di un’area che comprende
una fattoria, un frutteto, un giardino sensoriale per bambini, per un totale di
3 acri (circa 12mila mq). Dal 2012 quella che è stata definita la prima
agrihood urbana sostenibile degli Usa ha distribuito oltre 50mila tonnellate di
prodotti a residenti, organizzazioni no-profit e imprese.
A differenza di altri modelli di agricoltura di quartiere,
il progetto di Mufi si basa su un’integrazione e un’apertura maggiore a tutti
gli abitanti della città. Qualsiasi persona può chiedere di contribuire al
lavoro di semina, raccolta e manutenzione degli orti, così come può acquistare
i prodotti della terra, che vengono solitamente venduti il sabato mattina.
Uno spazio per la socialità e la formazione
In poco tempo, l’agrihood è diventato uno spazio dove la
comunità si incontra, impara a conoscersi e a collaborare. Non a caso, il
progetto è in forte crescita e l’associazione no-profit che lo gestisce ha
recentemente acquistato all’asta un edificio di tre piani adiacente al
giardino, abbandonato da anni e quindi in stato di degrado. L’idea è quella di
ristrutturarlo e trasformarlo in Community Resource Center (CRC), uno spazio
dove verranno realizzati uffici, spazi per eventi, sale dove verranno
organizzati corsi su agricoltura, orticoltura e sicurezza alimentare e infine
una caffetteria, i ricavi della quale serviranno a mantenere le spese
dell’agrihood.
Qualcosa si muove anche in Italia: l’agrivillaggio di Parma
A volte, però, non serve andare troppo lontano per scoprire
realtà interessanti. In Italia forse un modello di agrihood come quello sorto a
Detroit non esiste ancora, ma c’è chi ci ha provato e continua a provarci a
investire in comunità agricole a pochi passi dai centri urbani. È il caso
dell’Agrivillaggio che sta sorgendo a Vicofertile, a pochi di chilometri da
Parma, e che si sviluppa intorno a un’azienda agricola, fondata da Giovanni
Leoni, che ha avuto l’idea di trasformare la semplice coltivazione in un
modello di vita alternativo. Grazie alla collaborazione con le Facoltà di
Agraria, Architettura e Scienze naturali dell’Università di Parma e con il
Politecnico di Milano che ha studiato la parte energetica del progetto, è stata
sviluppata una piccola comunità che offre ortaggi e frutta di stagione di alta
qualità ma che è anche un luogo di relazione e scambio.
Fonte: green.it
Autore: Erika Seghetti
Nessun commento:
Posta un commento