All’alba, prima che sorgesse il sole, i contadini si
recavano in campagna a lavorare la terra.
Cercavano di rendere fertile il terreno, ma questo
richiedeva molta fatica, si dovevano togliere le pietre che impedivano la
coltivazione e spianare il più possibile il suolo per assicurare l’irrigazione
e ottenere un buon raccolto. Dopo aver compiuto questo lavoro i contadini si
sentivano più legati alla terra: uomo e natura erano segreti potenti.
A quell’epoca i contadini non avevano nessuna sicurezza sul
lavoro e nemmeno informazione, perché finanziariamente non potevano comprare i
giornali. Erano quindi costretti a seguire gli ordini del padrone della
fattoria, con cui dividevano il guadagno quando veniva il tempo del raccolto.
I contadini gestivano le stalle con gli animali: alcune
mucche, un cavallo, un asino e per chi aveva la possibilità economica anche un
maiale, che in inverno veniva ucciso per ottenere salami e costine.
Il cavallo e l’asino servivano per trasportare il materiale
della campagna: l’erba, il fieno, i rami di gelso e la legna per il camino, a
quell’epoca non esisteva la stufa per riscaldare la casa.
Alla sera il capo famiglia e la massaia entravano nella
stalla, davano da mangiare e da bere alle mucche, poi le mungevano e così
ricavavano il prezioso latte che veniva usato per la colazione del mattino ed
anche per la polenta della cena.
Le mucche di buona qualità rendevano molto latte, che la
massaia utilizzava per fare il burro con la zangola.
Tutto questo però non bastava per la famiglia, c’erano anche
le galline che si nutrivano con il granoturco e che si lasciavano libere nella
campagna a beccare nel terreno. Quando le galline facevano tante uova, la
massaia le vendeva al “pulireù”, il commerciante di pollame che girava nei
cortili del paese.
Nei mesi di luglio e agosto la massaia poneva al centro del
cortile un mastello pieno d’acqua per essere scaldata al sole, alla sera dopo
una giornata di lavoro il marito tornava dalla campagna e con quell’acqua,
scaldata al sole, si lavava il viso e i piedi per togliere la stanchezza e lo
sporco.
Al tempo opportuno i contadini dovevano mietere il grano, si
preoccupavano del clima molto caldo, che poteva generare forti temporali e
tempeste di grandine che potevano distruggere una parte del raccolto.
La massaia non era in possesso di soldi, quando doveva fare
la spesa nei negozi alimentari non pagava, il negoziante apriva un libretto e
scriveva la spesa che la massaia aveva acquistato e l‘importo dovuto.
Invece, per la frutta e la verdura la massaia si recava di
buon mattino nell’orto, dove il marito aveva coltivato e seminato a perfezione.
Nel secolo scorso i contadini tracciavano il solco con la
vanga e spesso dopo un duro lavoro così faticoso si sentivano così stanchi che
cercavano di riposare sotto “un muròn”, un albero di gelso e si addormentavano.
Quando poi si svegliavano pensavano di aver perso tempo.
A San Martino (11 novembre) si doveva pagare l’affitto al
padrone delle case e delle terre, a volte il contadino non aveva abbastanza
soldi, allora il padrone lo costringeva a pagare altrimenti poteva perdere la
casa affittata.
Il primo giorno della settimana c’era sempre trambusto
perché le massaie facevano il bucato, ponevano la biancheria sporca in un
mastello e la coprivano con un panno bianco su cui posavano della cenere e un
po’ di lisciva, poi rovesciavano sopra l’acqua calda e lasciavano tutto a bagno
per parecchio tempo. Questo lavoro per le donne era molto faticoso anche perché
la cenere e la lisciva rovinavano la pelle delle mani.
Al tramontar del sole i contadini tornavano dalla campagna e
si preparavano per la cena che la moglie aveva cucinato: minestra, patate e
fagioli con polenta.
Dopo aver cenato gli spettava il riposo e un dolce sonno, ma
prima di dormire la moglie sgranava il rosario come voleva la tradizione
familiare; solo al termine del rosario ci si faceva l’augurio della buona
notte.
Nella camera da letto c’era un portacatino e una brocca con
l’acqua che si usava alla mattina per lavarsi il viso. Nel secolo scorso, molte
famiglie vivevano nelle cascine fuori paese, prive di acqua e di elettricità.
Per la luce possedevano una lampada a petrolio, per l’acqua potabile avevano a
disposizione un pozzo nei pressi della cascina. Invece, per abbeverare le
bestie, nella campagna c’erano “i fopp”, gli stagni alimentati da acqua
piovana, che servivano anche per annaffiare l’orto.
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