In un contesto in cui la sensibilità verso i temi
dell’ambiente e della salute è sempre maggiore, anche il settore della
viticoltura è chiamato ad una maggiore sostenibilità delle produzioni ed alla
riduzione dell’impiego di fitofarmaci. Se da una parte ciò sta già avvenendo a
seguito dell’introduzione delle tecnologie informatiche e dei modelli
previsionali nella gestione della difesa, in prospettiva un ulteriore
importante contributo potrà venire dalle biotecnologie e dal miglioramento
genetico.
Già in passato la tecnica dell’incrocio per ottenere nuove
varietà resistenti alle malattie è stata utilizzata, ma con scarsi risultati
sul piano del potenziale enologico. Da poco più di un decennio abbiamo però a
disposizione la sequenza del genoma della vite e si stanno aprendo nuove
prospettive per l’ottenimento di genotipi che uniscano una scarsa sensibilità
alle malattie ad un elevato standard qualitativo.
Negli ultimi anni diversi Centri di ricerca hanno quindi
ripreso ad eseguire nuovi incroci mirati ed interessanti accessioni stanno già
arrivando a disposizione dei viticoltori. Si tratta di varietà con buona
resistenza multigenica a oidio e peronospora e le cui caratteristiche
enologiche risultano paragonabili a quelle del genitore “nobile”, almeno nelle
regioni in cui sono già diffuse.
E’ da evidenziare che attualmente la legislazione europea
permette il miglioramento genetico della vite esclusivamente tramite incrocio,
e per quanto riguarda la normativa italiana, ad esempio, le recenti varietà
resistenti a oidio e peronospora ottenute dall’Università di Udine attraverso
le tecniche tradizionali di incrocio e selezione sono state iscritte al
Registro nazionale con la limitazione di impiego nella sola produzione di vini
da tavola o IGT, in quanto ottenute da un genitore in parte diverso dalla Vitis
vinifera, portatore dei caratteri di resistenza.
Per quanto riguarda la ricerca, accanto ai programmi mirati
di incrocio tradizionale, si inseriscono in prospettiva le più recenti
opportunità offerte dalle moderne biotecnologie, che permetteranno di produrre
cloni dei più noti vitigni con l’inserimento di geni specifici di resistenza
tramite la cis-genesi e l’editing genetico. Per rendere disponibili i nuovi
vitigni migliorati sarà però necessario un adeguamento legislativo che ne
permetta la coltivazione, chiarendo la distinzione tra cisgenesi e transgenesi
ed evitando ogni possibile confusione tra le potenzialità delle diverse
tecnologie.
Resta comunque aperto il dibattito sull’opportunità di
un’apertura incondizionata alle nuove varietà nei comprensori delle principali
Denominazioni d’origine, che hanno alla loro base territorio e tradizione
storica. Secondo i detrattori con la diffusione dei nuovi vitigni si
rischierebbe di favorire un’enologia "anonima" e appiattita, a
vantaggio di vini e Paesi senza tradizione.
Degli aspetti legati all’innovazione ed all’impiego di nuove
varietà resistenti ai patogeni fungini si è parlato in un Forum nazionale
tenutosi a Firenze lo scorso 23 gennaio, organizzato dalla Confederazione
Italiana Agricoltori (CIA) in collaborazione con l’Accademia dei Georgofili e
moderato da Antonio Calò, georgofilo e presidente dell’Accademia della Vite e
del Vino.
In apertura Riccardo Velasco del CREA ha evidenziato il
fermento innovativo che si è manifestato nel settore della ricerca sul genoma
delle specie vegetali, con il perfezionamento di tecniche di intervento sempre
più raffinate e rispettose della natura stessa delle specie vegetali.
In particolare risultano interessanti ed applicabili le nuove
opportunità derivanti dalle tecnologie di genome editing, che permetteranno di
produrre non tanto nuove varietà, quanto nuovi cloni di vitigni internazionali
e autoctoni, modificati solo nei geni di resistenza o sensibilità a malattie o
avversità abiotiche, senza ricorrere al miglioramento transgenico
caratteristico degli OGM.
Michele Morgante, dell'Università di Udine, ha ribadito che
nella ricerca l'Italia è all'avanguardia, è ben posizionata nel trasferimento
tecnologico ma “soffre” per norme che non consentono un'adozione tempestiva
delle innovazioni, in quanto risentono di “pregiudizi e ideologie che non si
sono adeguate alla mutata realtà”.
La sentenza della Corte di giustizia europea del luglio 2018
non ha dato una mano. I giudici, come noto, hanno sostenuto che sostituire una
base del Dna di una pianta con un’altra, come già avviene tramite fecondazione
o per mutazione spontanea e indotta, va considerato alla pari di introdurre un
gene estraneo. Equiparando, di fatto, questa prassi a quelle applicate per
l'ottenimento degli Ogm, senza considerare che nei prodotti cisgenici si opera
solo sui geni interni, senza materiale genetico esterno al DNA della specie,
che rimane immutato.
Per Antonio Rossi, dell’Unione Italiana Vini, gli scenari
futuri richiedono un'apertura verso le nuove tecniche che potranno consentire
di ottenere piante di vite in grado di produrre vini di qualità, nonostante i
cambiamenti climatici, e di resistere alle patologie. I legislatori europei e
nazionali dovranno quindi fare la sua parte per accompagnare le innovazioni
scientifiche in modo “laico e senza pregiudizi”.
Nelle conclusioni il presidente nazionale CIA, Dino
Scanavino, ribadendo la necessità di sviluppare nuove relazioni tra pubblico e
privato e interazioni più strette tra mondo dell’impresa e mondo della ricerca,
ha evidenziato come l’innovazione non sia solo nuova conoscenza, ma anche
trasferimento e diffusione di tecniche elaborate in questi anni, finora non
collaudate in campo e non implementate nei processi aziendali.
Fonte: Accademia dei Georgofili
Autore: Paolo Storchi
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