
Nel documento, che mette in fila 9 “raccomandazioni”,
un’intera pagina è dedicata all’Italia. A essere messe sotto accusa sono le
regole sulla tracciabilità in etichetta dell’origine delle farine, il divieto
agli Ogm per uso alimentare e i limiti di residui di pesticidi nel grano duro.
Barriere non tariffarie da abbattere secondo gli estensori
del documento che, sottolineano proprio come il superamento di questi nodi,
considerati “fattori irritanti” del commercio, sia uno dei punti di forza del
trattato.
Una scelta, quella di etichettare il grano, che viene
definita “disastrosa” per l’export canadese e che nel documento viene ridotta a
una forma di protezionismo. Diventano così “barriere al commercio
ingiustificate” i primi timidi passi mossi nella riduzione della chimica in
agricoltura e l’invito è a risolvere i disallineamenti in nome di una “scienza
depoliticizzata”.
«Attacchi che dovrebbero far riflettere» ha commentato
Monica Di Sisto, portavoce della coalizione Stop Ttip/Ceta di cui fa parte
anche Slow Food.
Prediligere produzioni libere da Ogm e input chimici, di cui
conosciamo l’origine (così da poter operare scelte più consapevoli), non è
protezionismo. È libertà, quella del consumatore, che è più importante di
quella dei mercati e delle multinazionali che vogliono solo speculare sul
nostro cibo quotidiano. E vedono come il fumo negli occhi ogni situazione in
cui i cittadini dispongono di maggiori informazioni e maggiori strumenti per
decidere.
A chi ci governa vale la pena ricordare le promesse fatte in
campagna elettorale e ricordare loro che non sono ammessi arretramenti sulle
tutele faticosamente conquistate.
Giorgia Canali
g.canali@slowfood.it
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