La Corte di Cassazione, con la sentenza 25979/2018, ha
recentemente stabilito che l'imprenditore che costringe i dipendenti ad
accettare buste paga più "leggere" di quelle concordate
contrattualmente e a lavorare per un orario superiore, non commette "solamente"
il reato di estorsione, ma anche quello di autoriciclaggio.
Il reato di autoriciclaggio si configura quando vi è
l'impiego in attività economiche, finanziarie o imprenditoriali, denaro o altri
beni provenienti dalla commissione di altro delitto non colposo. Si tratta
quindi di un delitto che presuppone la precedente commissione di un ulteriore
reato (in questo caso l'estorsione), dal quale si sia ricavato un profitto.
A rispondere di autoriciclaggio sarà inoltre anche la
società, sulla base del dlgs 231/01, alla quale è contestato l'avvenuto
impiego, nell'attività imprenditoriale, del denaro frutto dell'estorsione
continuata, in maniera tale da ostacolare concretamente l'identificazione della
provenienza del denaro.
In questo caso, quindi, l'estorsione è reato presupposto
dell'autoriciclaggio a carico dell'amministratore, reato che a sua volta è
presupposto per la contestazione dell'illecito di cui all'art. 25 octies dlgs.
231/01 che, in assenza di un idoneo Modello organizzativo, può portare all'applicazione
di una sanzione da 103.200 euro a 1.549.000 euro.
Da quasi quattro anni, infatti, l'autoriciclaggio è entrato
a far parte del catalogo dei reati presupposto ai fini della responsabilità
231.
Da questa sentenza si evince quindi che quello che sembrava
un reato esclusivamente personale dell'amministratore, causa gravi danni
all'impresa.
Fonte: 231Academy
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