
Ebbene sì, altro che apertura di nuovi mercati dove
destinare i prodotti che non potevano più raggiungere il mercato russo, altro
che missioni del Commissario Ue per aprire nuove destinazioni extra-Unione
Europea. Dopo 4 anni, possiamo tranquillamente dire che per le pesche e
nettarine europee nessun nuovo mercato è stato aperto (l’Ue, che ne esportava
oltre 3.000.000 q nel 2014, nel 2018 ha esportato solo 1.500.000 q di pesche e
nettarine fuori dal proprio territorio), ma si è invece consumata una lotta
interna in cui le pesche e nettarine spagnole hanno aggredito i mercati dei
partner comunitari.
Sono state infatti oltre 1.030.000 q le pesche e le
nettarine spagnole importate dall’Italia nel 2018, in crescita del 66% dopo
l’embargo russo (erano 449.640 q nel 2012). La Spagna dunque, invece di cercare
nuovi mercati extra-Ue, ha aggredito il mercato italiano con la complicità
della distribuzione, grande e piccola che sia.
La stessa Spagna che dal 2010 ad oggi ha praticamente
raddoppiato la propria produzione di pesche e nettarine, tonde e piatte,
passando da 7.000.000 q ad oltre 13.000.000 q (mentre l’Italia passava da
15.000.000 q a 12.000.000 q di produzione), Spagna che poi parla di crisi di
mercato, di prezzi bassi e di espianti!
Ma dove finiscono tutte queste pesche e nettarine spagnole?
Per carità, molte sono correttamente commercializzate con la loro identità. Ma
se non si mette niente, se non c’è scritto nulla, vuoi che il consumatore pensi
che non siano italiane? Qualche esempio? Nei mercati rionali e settimanali, in
giro per l’Italia, sono diventati sempre più rari i cartellini con l’origine,
ovvero il luogo di coltivazione, obbligatori per il prodotto sfuso.
I nuovi fruttivendoli che aprono in tutte le città frutterie
h-24, hanno qualche problema con la lingua italiana parlata, figuriamoci con
quella scritta: tanta manna se c’è il prezzo. Nella grande distribuzione c’è
ancora qualche distratto che non si accorge che sotto il cartello che richiama
l’attenzione del consumatore alle pesche e nettarine italiane, è finita una
pedana di prodotto spagnolo (è arrivata questa mattina e non mi sono ricordato
di cambiare il cartello)!
Distrazione, diranno i più indulgenti. Certo che se ci fosse
qualche controllo in più al dettaglio, forse qualcuno starebbe più attento. Sì,
perché quella che è distrazione, se riscontrata da un pubblico ufficiale,
diventa un reato.
Come per le oltre sei tonnellate di patate, angurie, meloni
e finocchi che sono stati sequestrati al Centro agroalimentare di Roma nel
corso di un’operazione organizzata dai Carabinieri del Reparto Tutela
Agroalimentare di Roma (Rac) e dalla locale Stazione Forestale di Guidonia
Montecelio unitamente a Direzione, Servizio Ispettivo e Agronomi del Car; una
iniziativa su vasta scala finalizzata a verificare etichettatura e
rintracciabilità dei prodotti posti in vendita.
E intanto il “mistero” delle pesche spagnole continua, e gli
italiani che lo scorso anno se ne sono mangiate 1,7 chilogrammi a testa,
neonati compresi, sono convinti di aver acquistato solo pesche italiane.
Fonte: Coldiretti Giovani Impresa
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