Per effetto dei cambiamenti climatici la coltivazione
dell’ulivo in Italia è arrivata a ridosso delle Alpi, nella Pianura Padana si
coltiva oggi circa la metà della produzione nazionale di pomodoro destinato a
conserve e di grano duro per la pasta, colture tipicamente mediterranee mentre
in Sicilia, a Giarre ai piedi dell’Etna, si coltivano i primi avocado Made in
Italy, frutto tipicamente tropicale e a Palermo si riescono addirittura
produrre le prime banane nostrane. E’ quanto afferma la Coldiretti dopo l’allarme
dell'Organizzazione meteorologica mondiale (Omm) sulla concentrazione media di
anidride carbonica (CO2) nell'atmosfera che ha raggiunto il traguardo di 400
parti per milione (ppm) nel 2015 al quale ha fatto seguito un 2016 che si
classifica come l’anno più caldo di sempre a livello mondiale, da 137 anni fa
quando sono iniziate le rilevazioni, con la temperatura media registrata nei
primi nove mesi sulla superficie della terra e degli oceani addirittura
superiore di 0,89 gradi celsius rispetto alla media del ventesimo secolo
secondo la banca dati del Noaa, il National Climatic Data Centre che rileva le
temperature sul pianeta dal 1880.
Gli effetti del cambiamento si avvertono anche in Italia
dove il 2015 si è classificato come l’anno più caldo della storia, da quando
esistono i rilevamenti secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Isac Cnr.
L’effetto congiunto dei cambiamenti climatici e della globalizzazione degli scambi ha portato
peraltro alla diffusione in Italia di parassiti "alieni" mai visti
prima che si sono accaniti sulle produzioni nazionali, dalla Xylella degli
ulivi al cinipide galligeno che ha decimato le castagne, dal punteruolo rosso
che ha fatto strage di decine di migliaia di palme alla Tristeza degli agrumi e
molti altri come testimonia la recente la biblica invasione nel Nord Italia
della “cimice marmorata asiatica” particolarmente pericolosa per l’agricoltura
perché prolifica con il deposito delle uova almeno due volte all`anno con
300-400 esemplari alla volta. A favorirne la diffusione è stato un autunno
particolarmente caldo con la moltiplicazione degli esemplari che non hanno in
Italia antagonisti naturali.
Ma il cambiamento climatico si fa sentire anche sui prodotti
tipici. Il riscaldamento provoca infatti anche , il cambiamento delle
condizioni ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per
l'affinamento dei formaggi o l'invecchiamento dei vini. Una situazione che di
fatto mette a rischio di estinzione il patrimonio di prodotti tipici Made in
Italy che devono le proprie specifiche caratteristiche essenzialmente o
esclusivamente all'ambiente geografico comprensivo dei fattori umani e proprio
alla combinazione di fattori naturali e umani. L’effetto serra taglia la resa
delle colture di orzo e luppolo per la birra in Belgio e Repubblica Ceca e
anche i produttori di champagne francesi sono in allarme per l’aumento delle
temperature di quasi 1,2 °C negli ultimi 30 anni nella zona di coltivazione
tanto che autorevoli studiosi hanno ipotizzato lo spostamento fino in Inghilterra
della zone di coltivazione piu’ idonee. Il vino italiano è aumentato di un
grado negli ultimi 30 anni, ma il caldo ha cambiato anche la distribuzione sul
territorio dei vigneti che tendono ad espandersi verso l’alto con la presenza
della vite a quasi 1200 metri di altezza come nel comune di Morgex e di La
Salle, in provincia di Aosta, dove dai vitigni piu’ alti d’Europa si producono
le uve per il Blanc de Morgex et de La Salle Dop.
A preoccupare è anche il repentino capovolgersi del tempo
con i cambiamenti climatici in atto che in Italia si manifestano con ripetuti
sfasamenti stagionali ed eventi estremi anche con il rapido passaggio dalla
siccità all’alluvione, precipitazioni brevi e violente accompagnate anche da
grandine con pesanti effetti sull’agricoltura italiana che negli ultimi dieci
anni , ha subito danni per 14 miliardi di euro a causa delle bizzarrie del
tempo.
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