Dall'Europa agli Stati Uniti sta crescendo un po' ovunque:
il boom di aziende agricole in conversione è accompagnato dalle richieste dei
consumatori. Leggi l'intervista al vicepresidente di Federbio Matteo Bartolini.
Anche gli Stati Uniti si lasciano sedurre dal biologico. Uno
degli ultimi atti del dipartimento dell'Agricoltura degli Usa targato Tom
Vilsack, prima del passaggio di consegne al nuovo segretario Sonny Perdue,
nominato nell'ultimo giorno utile prima del giuramento a Washington di Donald
Trump, ha riguardato un provvedimento finalizzato ad aumentare la produzione di
alimenti biologici, la cui richiesta da parte dei consumatori è più sostenuta
dei volumi produttivi.
La risposta dello Usda è stata quella di lanciare un
programma volto a certificare la terra agricola che i coltivatori stanno
trasformando in biologica. Una sorta di certificazione della fase di
transizione, per ovviare allo squilibrio del periodo in cui, appunto, gli
agricoltori abbandonano il regime convenzionale e si spostano verso il
biologico. Di fatto, seguono già le linee guida per una produzione bio, ma non
possono ancora fregiarsi del marchio.
In questo periodo di passaggio, i coltivatori sono alle
prese con una minore produzione in termini di volumi e non possono ancora
beneficiare dei prezzi superiori che sono riconosciuti ai prodotti biologici.
Gli agricoltori dovranno dimostrare di seguire le linee
guida per la produzione biologica per almeno un anno, per essere certificati
come in transizione, e agenti accreditati dal dipartimento americano dell'Agricoltura
ne verificheranno l'osservanza.
Tuttavia, il nuovo programma non prevede norme
sull'etichettatura degli alimenti coltivati in aziende agricole che stanno
passando al biologico.
Mondo vino
Gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato al mondo per
consumo di vino biologico alle spalle della Germania, nonostante le superfici
di vigneto "organic" (le cui normative sono in parte diverse da
quelle Ue) siano appena il 5% del totale mondiale, dietro la Cina (6%) e il
blocco europeo (85%, dati 2015), con Spagna (95.591 ettari), Italia (83.642
ettari) e Francia (68.565 ettari) a guidare la classifica.
Le vendite di bio in Usa
I consumatori sempre di più ricercano prodotti
"organic", ritenuti sempre di più naturali e sani. Nel 2015, le
vendite complessive di prodotti biologici hanno toccato un nuovo picco di 43,3
miliardi di dollari, registrando un incremento dell'11% rispetto ai livelli
record dell'anno precedente, secondo l'Organic trade association.
La premessa di quanto sta accadendo Oltreoceano è l'occasione
per uno scambio di battute con Matteo Bartolini, vicepresidente di Federbio,
dopo l'esperienza come presidente del Consiglio europeo dei giovani
agricoltori.
"Seppure oggi stiamo ancora attraversando un profondo
periodo di crisi economica, il settore biologico continua a crescere diventando
volano economico del settore agricolo ed agroalimentare - dichiara Matteo
Bartolini -. Le sue performance dal punto di vista occupazionale ed economico
stanno a dimostrare che l'esigenza del consumatore è quella di consumare sempre
più cibi coltivati nel rispetto dell'ambiente. E' anche grazie al consumatore
consapevole ed alle proprie scelte se agiremo con più celerità al radicale
cambiamento del modello agricolo fermo ancora al periodo post-bellico".
Il bio sta crescendo un po' ovunque. "Negli Usa sono
già stati superati i 4,1 milioni di acri (circa 1,66 milioni di ettari, ndr) e
in Europa nel 2015 avevamo già oltre il 6% della Sau destinata al biologico,
con 11 milioni di ettari".
La sfida che il mondo ha di fronte è quella di produrre di
più con meno input e senza inquinare l'ambiente circostante. "Anche la Pac
post 2020 intende dare spazio a un'agricoltura più verde, più efficiente e più
equa - ricorda Bartolini -. Sono indubbiamente obiettivi ambiziosi, ma che
saranno raggiunti solo favorendo un migliore utilizzo delle risorse naturali
anche attraverso la tecnologia in direzione di quella che viene considerata il
modello sostenibile del futuro: l'agroecologia".
Sarà questo il futuro?
"Sì. Serve una forte attività di resilienza per
affrontare il cambiamento climatico, salvaguardare la biodiversità, anche
raddoppiando i finanziamenti per la ricerca, l'innovazione e la condivisione
delle conoscenze. In attesa di tutto questo, però, ciò che possiamo fare da
subito è promuovere l'agricoltura biologica".
Quali sono gli ultimi trend di crescita del bio in Italia?
"Nel nostro paese il trend di crescita del biologico è
notevole. Gli ettari coltivati a biologico superano largamente il milione e mezzo.
Stiamo assistendo a un vero boom di imprenditori agricoli che stanno
convertendo le proprie aziende agricole. Dal punto di vista di mercato, il
biologico ha registrato un +20% nelle vendite anche nel 2016, come evidenziato
dai dati Ismea/Nielsen. Il 74% delle famiglie italiane consuma cibo biologico,
e di questi il 68% lo fa abitualmente".
Quali sono i canali di distribuzione?
"La parte del leone naturalmente è stata realizzata
dalla Grande distribuzione organizzata, dove si è passati da 853 milioni di
euro di fatturato nel 2015 a oltre 1 miliardo di euro nel 2016. Oltre alla
grande distribuzione crescono anche i negozi specializzati, che hanno avuto un
trend molto positivo. Ancor più importante è il risultato proveniente dalle
catene di discount, dove si è avuto un vero e proprio boom di vendite".
Come interpreta la crescita del biologico nel discount?
"Credo che stia a dimostrare che il prodotto biologico
non è più un settore di nicchia, ma anzi attira sempre più il consumatore medio
a dimostrazione che la scelta del consumatore non è collegata direttamente al
reddito, ma ad un acquisto consapevole".
Quali sono i prodotti che hanno avuto l'incremento maggiore?
"I prodotti che hanno avuto le migliori performance
sono quelli del pane e della pasta (addirittura un +42.285% fra novembre 2015 e
novembre 2016), le verdure (+1.395%), gli alimenti per l'infanzia (+8.750%),
con una crescita media di tutte le referenze del 20% in un anno".
In Europa, come è stato fatto negli Stati Uniti, sarebbe
utile un programma di certificazione del regime di transizione dal
convenzionale al biologico, magari con Borse telematiche specifiche o con un
mercato parallelo diversificato sia dal convenzionale che dal biologico?
"Sicuramente. Come detto, assistiamo su tutto il territorio
nazionale, al boom di aziende agricole in conversione. Il motivo principale di
questo passaggio è dato dalla crisi dei prezzi dei prodotti convenzionali,
unitamente alla stagnazione della domanda e una conseguente crisi di
sovrapproduzione".
Quali azioni dovrebbero essere messe in piedi?
"Per governare il trend di conversione da convenzionale
a biologico bisognerebbe lavorare per alleggerire il peso burocratico e per
proteggere il reddito dell'imprenditore agricolo. Durante il periodo di
conversione, infatti, il produttore avrà una riduzione in termini quantitativi
di prodotto, senza però scontare una maggiorazione di prezzo fin quando non
ottiene la certificazione. Senza l'attivazione di una strategia in tal senso,
diventa difficile per un agricoltore convenzionale già in difficoltà
convertirsi al metodo biologico.
Nel rendere più flessibile il passaggio da convenzionale a
biologico, non dobbiamo però rischiare di perdere la fiducia nel consumatore.
Il settore può crescere, ma dovrà farlo tenendo presente che senza la fiducia
delle famiglie non ci sarà possibilità di crescita. Quindi servono regole
chiare e controlli rigidi a difesa del consumatore, del produttore onesto e
dell'intero indotto".
Quali passaggi ritiene indispensabili?
"Ciò che a mio avviso oggi servirebbe di più è un
cambio di passo nelle politiche istituzionali. Federbio chiede da tempo che
anche le istituzioni pubbliche raccolgano la sfida del biologico, dando
attuazione al Piano strategico nazionale approvato ad inizio 2016.
Chiediamo ad esempio che Ismea realizzi una rete di
rilevazione e monitoraggio di prezzi alla produzione e tendenze di mercato dei
prodotti agricoli, agroalimentari, della pesca e dell'acquacoltura, con
un'attenzione specifica interamente per il settore biologico. Questo
naturalmente per aiutare i produttori agricoli, ma anche appunto per far
crescere tutto l'indotto e dotarlo dei giusti strumenti per farlo crescere nel
mercato nazionale".
A che punto è il nuovo regolamento sul biologico?
"Il nuovo regolamento sul biologico continua a essere
motivo di discussione tra i vari paesi della Ue. Dopo la proposta della
Commissione, nel marzo 2014, siamo oggi definitivamente arrivati nella fase
finale di trilogo tra Commissione europea, Parlamento Ue e Consiglio Europeo.
Il percorso è durato fin troppo e, se non sarà approvato in breve tempo il
regolamento, si rischia che la proposta di riforma venga ritirata dalla
Commissione".
Quali sono le difficoltà in atto?
"Sono diversi gli aspetti che hanno portato allo stallo
del negoziato e che frenano l'opportunità di raggiungere un accordo di massima.
I temi in discussione vanno dal sistema di certificazioni, alla soglia dei
residui, ma anche la certificazione di gruppo e altri elementi sui quali non
c'è intesa. Crediamo invece sia utile una riforma del settore biologico,
affinché il boom della domanda da parte del consumatore produca un'offerta di
qualità certa".
Meglio un accordo parziale, ma pur sempre un accordo oppure
è meglio lasciare perdere?
"Piuttosto che un accordo al ribasso è meglio che tutto
si fermi. Ci sono questioni che non piacciono, come ad esempio il tema della
reciprocità dei prodotti certificati extra-Ue rispetto ai prodotti certificati
secondo la normativa europea.
La norma comunitaria rappresenta un'importantissima garanzia
per il consumatore nella qualità del prodotto e per il produttore, dal momento
che prevede una concorrenza leale nella fase produttiva e per l'ambiente. Se
diamo fiducia al settore, allora vinceremo la sfida della sostenibilità. Solo
così faremo un'agricoltura migliore per gli imprenditori agricoli, per i
lavoratori, per il consumatore, per l'ambiente e per tutto l'indotto
economico".
Nessun commento:
Posta un commento