Un sondaggio del Crea-Api mette in luce i limiti alla
diffusione dell'attività di impollinazione guidata effettuata dagli apicoltori
e lo scollo percepito dal comparto apistico rispetto al resto del mondo
agricolo.
Che le api siano importanti per l'impollinazione è una cosa
che sanno bene anche i bambini. Ma quale sia il valore economico e l'importanza
agronomica dell'attività di impollinazione delle api è un tema molto spesso
ignorato o quantomeno sottovalutato.
E' stato stimato che a livello mondiale il valore economico
globale generato dalle api con la loro attività pronuba sia cento volte
superiore rispetto al valore derivante dalla vendita dei prodotti dell'alveare.
In alcuni paesi, come Usa e Israele, il servizio di
impollinazione rappresenta spesso la prima fonte di reddito per gli apicoltori,
seguito poi dalla vendita del miele e degli altri prodotti apistici. E
l'importanza dell'attività pronuba delle api è pienamente conosciuta dagli
operatori di tutto il comparto agricolo.
Gli agricoltori israeliani ad esempio vogliono pagare per
avere le api sui loro frutteti, perché pagando possono prendere un servizio di
impollinazione di qualità.
Dall'altro lato, il grande allarme della mortalità delle api
negli Stati Uniti è nato non tanto per la riduzione della produzione di miele,
ma per la mancata impollinazione dei mandorleti californiani.
In Europa, nell'ambito del progetto superB - Sustainable
pollination in Europe - l'Università di Reading, in Inghilterra, ha organizzato
un sondaggio per mettere a fuoco il ruolo del servizio di impollinazione nel
vecchio continente.
Per l'Italia questo sondaggio è stato realizzato dal
Crea-Api di Bologna, sotto la cura di Laura Bortolotti.
Al questionario proposto dal Crea hanno risposto 193
apicoltori, di cui 75 professionisti, con più di 400 alveari, e 118 hobbisti.
Un numero notevolmente ristretto, considerate le 12mila aziende apistiche e i
40mila apicoltori che allevano le api per autoconsumo, che si stimano esserci
nel nostro paese. Un numero che può già essere interpretato come un dato che
denota lo scarso interesse che il settore apistico ha per questa attività. E
infatti così è emerso dalle risposte.
Tra gli apicoltori professionisti che hanno partecipato al
sondaggio, la vendita del miele rappresenta la principale fonte di reddito e
solo il 31% di loro pratica il servizio di impollinazione, e solo in tre casi
incide per oltre il 50% sul reddito aziendale.
Questa sottoutilizzazione dell'attività di impollinazione
guidata come fonte di reddito non deriva però da problemi organizzativi o da
una scarsa cultura tecnica degli apicoltori. Anzi, si potrebbe quasi sostenere
il contrario.
La metà degli apicoltori intervistati, e questo dato si può
tranquillamente ampliare alle generalità degli apicoltori italiani, pratica il
nomadismo per la produzione del miele e del polline, cioè sposta gli alveari
per inseguire fioriture di piante spontanee o coltivate. Quindi non sussistono
grossi problemi tecnici per portare le api anche su colture da impollinare.
In alcuni casi, quando gli apicoltori portano gli alveari
negli agrumeti o sui campi di sulla, girasole o trifoglio per la produzione del
miele, svolgono in contemporanea un servizio di impollinazione per quelle
colture. Un servizio che spesso non è retribuito, anzi in alcuni casi è
l'apicoltore stesso a dover regalare qualche vasetto di miele ai proprietari
dei fondi a titolo di riconoscenza per aver potuto usufruire del terreno su cui
collocare le arnie.
Dal sondaggio, i limiti principali che frenano gli
apicoltori a effettuare il servizio di impollinazione sono due: il timore,
anche solo teorico, di possibili avvelenamenti da fitofarmaci utilizzati sulle
colture e lo scarso riconoscimento economico da parte degli agricoltori.
Molti degli apicoltori intervistati si accontenterebbero
anche di un riconoscimento morale dell'importanza delle loro api, in cambio di
un ambiente migliore, richiedendo maggiore attenzione da parte delle
istituzioni e degli altri operatori agricoli.
"Se non si usassero veleni farei il servizio di
impollinazione in forma gratuita" è una risposta frequente tra le persone
coinvolte nel sondaggio. O addirittura "il servizio di impollinazione che
rendo lo faccio gratis, e così indirettamente la maggior parte degli apicoltori,
ma purtroppo dagli agricoltori non riceviamo nemmeno un grazie, anzi, a volte
perdiamo le api per i trattamenti che fanno sulle piante".
Interessante è il dato che le coltivazioni di piante da
frutto risultano tra le colture considerate da evitare da parte degli apicoltori
intervistati, soprattutto per il timore dei trattamenti fitosanitari e per il
fatto che spesso non sono retribuiti. E le piante da frutto sarebbero tra le
coltivazioni che più si avvantaggerebbero dell'attività di impollinazione,
assieme alle oleaginose e alle foraggere da seme.
Una situazione che non è costruttiva per nessuno, quindi.
Anche triste per un paese con una tradizione agricola come il nostro.
Particolarmente doloroso è notare la divisione che viene percepita dagli
apicoltori tra loro e gli agricoltori, come se anche gli apicoltori non fossero
parte integrante del sistema agricolo.
Riuscire a realizzare in modo razionale ed efficiente il
servizio di impollinazione vorrebbe dire dare inizio a un ciclo virtuoso di cui
beneficerebbero tutti gli operatori del nostro comparto agricolo, e, non da
ultimo, l'ambiente.
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