
Sette punti chiave per invertire la rotta sulla questione
degli animali selvatici (ungulati, storni, nutrie), diventata insostenibile in
tutto il territorio nazionale, aggiornando una legislazione obsoleta e
totalmente carente sia sul piano economico che su quello ambientale.
1. Sostituire
il concetto di “protezione” con quello di “gestione” – Secondo Cia, la finalità
di fondo, indicata già nel titolo della legge, deve essere modificata passando
dal principio di protezione a quello di gestione della fauna selvatica. Se la
legge del 1992 si focalizzava sulla conservazione della fauna, in quegli anni a
rischio di estinzione per molte specie caratteristiche dei nostri territori,
oggi la situazione si è ribaltata, con alcune specie in sovrannumero o
addirittura infestanti. L’esempio più lampante riguarda i cinghiali,
responsabili dell’80% dei danni all’agricoltura: si è passati da una
popolazione di 50 mila capi in Italia nel 1980, ai 900 mila nel 2010 fino ad
arrivare a quasi 2 milioni nel 2019. E’ del tutto evidente, quindi, che bisogna
tornare a carichi sostenibili delle specie animali, in equilibrio tra loro e
compatibili con le caratteristiche ambientali, ma anche produttive e
turistiche, dei diversi territori.
2. Ricostituire
il Comitato tecnico faunistico venatorio, presso la Presidenza del Consiglio
dei ministri – L’attuale legge divide le competenze in diversi ministeri;
occorre riportare alcune competenze di fondo presso la Presidenza del Consiglio
dei ministri e, di fatto, ricostituire il Comitato tecnico faunistico e
venatorio, partecipato dal Mipaaft e dal Ministero dell’Ambiente, dalle
Regioni, dalle organizzazioni interessate e da istituzioni scientifiche come
l’Ispra.
3. Distinguere
le attività di gestione della fauna selvatica da quelle dell’attività venatoria
– E’ necessario intervenire radicalmente nella governance dei territori,
garantendo l’effettiva partecipazione del mondo agricolo a tutela delle proprie
attività. Le procedure di programmazione faunistica e delle attività venatorie
devono essere semplificate e armonizzate con le Direttive europee e, allo
stesso tempo, vanno ridisegnati e ridefiniti i compiti degli Ambiti
territoriali di gestione faunistica e venatoria (al posto degli Ambiti
territoriali di caccia).
4. Le attività
di controllo della fauna selvatica non possono essere delegate all’attività
venatoria – Per Cia, piuttosto, deve essere prevista o rafforzata la
possibilità di istituire personale ausiliario, adeguatamente preparato e munito
di licenza di caccia, per essere impiegato dalle autorità competenti in
convenzione, mettendo in campo anche strumenti di emergenza e di pronto
intervento.
5. Deve essere
rafforzata l’autotutela degli agricoltori – Sui propri terreni, i produttori
devono poter essere autorizzati ad agire in autotutela, con metodi ecologici,
interventi preventivi o anche mediante abbattimento.
6. Risarcimento
totale del danno – La crescita dell’incidenza dei danni da fauna selvatica è
esponenziale. Ad oggi, i danni diretti al settore agricolo accertati dalle
Regioni corrispondono a 50-60 milioni di euro l’anno. Secondo Cia, gli
agricoltori hanno diritto al risarcimento integrale della perdita subita a
causa di animali di proprietà dello Stato, comprensivo dei danni diretti e
indiretti alle attività imprenditoriali. Bisogna superare la logica del “de
minimis”; mentre criteri, procedure e tempi devono essere omogeni sul
territorio, con la gestione affidata alle Regioni.
7. Tracciabilità
della filiera venatoria – Ai fini della sicurezza e della salute pubblica,
occorre assicurare un efficace controllo e un’adeguata tracciabilità della
filiera venatoria, partendo dalla presenza di centri di raccolta, sosta e
lavorazione della selvaggina, idonei e autorizzati, in tutte gli areali di
caccia.
“Cia-Agricoltori Italiani lancia la sua proposta di riforma
della legge 157/92 e si rende protagonista, negli stessi giorni, di una
mobilitazione generale in tutte le regioni sul tema della fauna selvatica
-spiega il presidente nazionale Dino Scanavino-. La presenza eccessiva,
soprattutto di ungulati, sta rendendo impossibile in molte aree l’attività
agricola con crescenti fenomeni di abbandono ed effetti negativi sulla tenuta
idrogeologica dei territori. Per questo sollecitiamo le istituzioni ad agire
tempestivamente, utilizzando il nostro progetto di riforma come base di
discussione, per arrivare a una nuova normativa sul tema più moderna ed
efficace”.
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