
Questa la sintesi della sentenza del Consiglio di Stato,
chiamato ad esprimersi su un contenzioso sorto tra un’impresa agricola con
attività agrituristica ed il Comune ove ha sede l’attività.
Il Comune, ben potendo determinare la tariffa in base alla
quantità e qualità dei rifiuti mediamente prodotti in relazione alla tipologia
dell’attività svolta, deve tenere conto delle diversità tra le attività
imprenditoriali.
Come è ben noto, l’attività agrituristica è un’attività
connessa a quella agricola, dall’effettivo svolgimento della quale, come tale,
non può prescindere. Molti comuni, non essendo prevista una specifica codifica
Tari per l’attività agrituristica, assimilano la tariffa a quella applicata
agli alberghi ed ai ristoranti, talvolta riconoscendo sgravi legati alla
stagionalità dell’agriturismo. Secondo i giudici del Consiglio di Stato però,
l’agriturismo è una specificazione dell’attività agricola, alla quale resta
vincolata e connessa. In aggiunta a ciò, l’inquadramento amministrativo e
fiscale specifico, riconosciuto dal legislatore all’attività agrituristica,
“rispecchia una differenziazione economica e funzionale” rispetto alle attività
alberghiere, che “si riflette sulla commisurazione della capacità
contributiva”.
Anche il Codice del turismo distingue nettamente gli
agriturismo rispetto agli alberghi, qualificandoli quali “strutture ricettive
extralberghiere”. Il Comune quindi, concludono i giudici, può certamente
commisurare la Tari in relazione alla qualità e quantità di rifiuti prodotti in
tali attività ma deve tenere conto dei principi generali di proporzio-nalità,
ragionevolezza e adeguatezza, senza effettuare alcuna automatica as-similazione
tra l’attività agrituristica a quella alberghiera.
Fonte: Agricultura.it
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