Il made in Italy fa ancora parlare di sé, purtroppo in
questo caso c’è poco da andarne fieri. A inizio novembre il Financial Times ha
pubblicato una bellissima inchiesta su come i tentacoli della piovra mafiosa si
siano infiltrati nella produzione alimentare in tutto il nostro Paese, andando
anche oltre i confini nazionali. Ve ne proponiamo la lettura (di seguito
riportiamo un breve estratto) della traduzione che proposta dal Sole 24 ore.
[…] Approfittando della decennale crisi economica in Italia,
la mafia ha comprato terreni a prezzo stracciato, bestiame, mercati e
ristoranti, e li ha usati anche per riciclare il denaro sporco in uno dei
settori di spicco e maggiormente trainanti del paese. Il cosiddetto business
delle agromafie, afferma l’Osservatorio, ha un giro d’affari quasi doppio
rispetto ai 12,5 miliardi di euro del 2011, essendo arrivato a superare i 22
miliardi di euro nel 2018 (e crescendo a una media del 10 per cento l’anno).
Oggi questo business costituisce il 15 per cento circa del presunto giro
d’affari della mafia.
[…]ll professore Umberto Santino, storico della mafia di
Palermo, afferma che gli interessi della mafia nel settore agroalimentare ormai
includono il “traffico di esseri umani, il riciclaggio di denaro sporco,
l’estorsione, lo strozzinaggio, la riproduzione e l’allevamento illegali, oltre
a operazioni clandestine quali la macellazione, la panificazione,
l’interramento di rifiuti tossici nei terreni agricoli. Si tratta di un ciclo
integrato, di un pacchetto completo di interazioni sistematiche”. In base allo schema scoperto da Antoci
(Giuseppe Antoci, presidente del parco delle Nebrodi fino a febbraio 2018, è
l’autore del Protocollo di legalità”, noto come il “Protocollo Antoci per il
suo lavoro ha subito un attentato nel maggio del 2016 [ndr]) i mafiosi e i loro
affiliati prendevano in affitto dallo stato centinaia di migliaia di ettari di
terreno pubblico nel Parco dei Nebrodi, ricorrendo all’intimidazione per
sbaragliare le offerte della concorrenza. Quando ha assunto le sue funzioni nel
2013, Antoci ha scoperto che l’80 per cento delle concessioni del parco erano
sotto il controllo diretto della mafia, compresa una a Gaetano Riina, fratello
di Salvatore, detto “Totò” e noto anche come “La belva”, boss della mafia
siciliana morto l’anno scorso in carcere mentre scontava la sua condanna a
vita.
[…] L’infiltrazione della mafia nella catena agroalimentare
pare completa in modo deprimente, ma esistono alcune sacche di resistenza.
Consigliamo la lettura l’articolo completo dove viene approfondito
anche tutto il settore e il problema delle contraffazioni e adulterazioni. Un fenomeno che possiamo contribuire tutti a
correggere rivolgendoci a una filiera sana e a produttori che conosciamo e di
cui ci possiamo fidare.
Fonte: Slow Food
Nessun commento:
Posta un commento