Dagli inizi dell’800, e fino alla diffusione degli
autocarri, avvenuta a partire dalla prima metà del ‘900, il trasporto delle
merci, in Sicilia, veniva effettuato dai “carrettieri” che, alla guida di carri
trainati da cavalli, o più spesso da asini, o da muli, percorrevano le “regie
trazzere” e le altre strade sterrate che i Borboni finanziarono, nel 1778, con
ben 24.000 scudi e che vennero realizzate a partire dalla fine del ‘700. Nei
vari centri isolani il carretto, pur mantenendo una struttura standard (Fig.1),
aveva caratteristiche peculiari tramandate, solo ai propri famigliari, dai
carradori, che realizzavano, o assemblavano, le parti,eseguite da falegnami, da
intagliatori, da fabbri, e che, alla fine, venivano decorate dai pittori. Nella
parte occidentale dell’Isola, i carretti più diffusi erano: il tipo
“palermitano”, il “trapanese”, con ruote più grandi, e quello “di
Castelvetrano”. Nella Sicilia orientale prevaleva il tipo “catanese”, di
dimensioni generalmente più ridotte. Caratteristica comune ai vari tipi di
carretto erano le decorazioni pittoriche che avevano una funzione
magico-religiosa di protezione dal male e, oltre a proteggere il legno, servivano
a dimostrare lo status symbol del carrettiere, nonché a richiamare l’attenzione
degli acquirenti. I vari tipi di carretto si differenziavano anche per i
soggetti dipinti, o intarsiati, nei riquadri delle fiancate e del portello
posteriore. Le immagini sacre (scene della Bibbia, o della vita dei Santi)
erano una protezione e un auspicio per la buona riuscita del viaggio,
considerate le precarie condizioni delle strade, spesso infestate da briganti.
Altre immagini traevano spunto da episodi di poemi epici (combattimenti fra i
paladini cristiani e i saraceni), o da eventi storici (imprese garibaldine), o
ancora da scene di vita quotidiana. Nei carretti della Sicilia occidentale,
prevalevano le decorazioni fitomorfe e le tinte gialle e rosse; mentre, in quelli
della parte orientale dell’Isola, le decorazioni prevalenti erano antropomorfe
con tinte violacee e azzurre. Una caratteristica essenziale del carretto, erano
le alte ruote, necessarie per superare gli ostacoli delle sconnesse trazzere.
In relazione al tipo di materiale trasportato, il fondo della cassa e le
fiancate avevano misure e forme differenti in base alle quali venivano distinte
tre tipologie di carretti: “u furmintaru”, con fiancate laterali e portello
posteriore, rettangolari più alti, per il trasporto di granaglie; “u vinarolu”,
con le fiancate trapezoidali e le tavole inclinate, utilizzato per trasportare
il vino, e infine “u tiralloru”, di forma rettangolare con fiancate laterali
basse, usato per il trasporto di terra e di materiale da costruzione. Una
particolare tipologia di carretto veniva realizzata negli Iblei per soddisfare
le esigenze degli apicoltori che praticavano il nomadismo apistico. Tale carro,
localmente denominato “a carretta”, aveva il fondo di carico (“cascia”) più
ampio, e le aste (“asti”), alle quali si “’mpaiava” il mulo che trainava il
carro, più allungate, per renderlo più flessibile. Le fiancate laterali e il
portello posteriore, erano più alti e le ruote più grandi di quelli del tipo
catanese. Elementi essenziali, e innovativi, erano le balestre laterali che,
ammortizzando le scosse, infastidivano meno le api, confinate nelle arnie di
ferula, durante i trasferimenti che venivano effettuati nelle ore serali e
notturne. Tali accorgimenti costruttivi rendevano “a carretta”, con la quale si
potevano trasportare fino a 64 alveari tradizionali, più stabile e affidabile.
Uno di questi carretti, insieme agli attrezzi, con cui, fino alla metà del
‘900, veniva praticata l’apicoltura tradizionale, è esposto nel Museo
dell’Apicoltura (A casa do Fascitraru) a Sortino.
Autore: Santi Longo
Fonte: Accademia dei Georgofili
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