
Dai dati diffusi emerge che, nel decennio 2008-2017, le
superfici interessate a biologico sono quasi raddoppiate passando da 1.0 a 1.9
milioni di ettari (+90%). Le superfici ad agricoltura biologica hanno fatto
registrare forti incrementi nelle Regioni del sud (da 0.6 a 1,2 milioni di
ettari: +100.0%) e del nord (da 159.000 a 290.000nettari registrando un
+82.3%), mentre hanno evidenziato aumenti più contenuti, ma comunque
significativi al centro (da 258.000 a 319.000 ettari) segnando un aumento del
23.6%. Tuttavia, nel 2017, le imprese agricole bio rappresentano solo il 4.5%
del totale (nord 3.9%, centro 5.8% e sud 5.0%) registrando quasi un raddoppio
rispetto al 2008, quando rappresentavano il 2.5% del totale.
Il fatturato nel 2018 del bio è pari a 5,6 miliardi di Euro
di cui 2,06 miliardi è rappresentato dall’export il che segna un +205% rispetto
al 2008. L’export bio registra, inoltre, un aumento del 534% rispetto al 2008.
Le vendite di prodotti biologici segnano il 3% sul totale dei consumi e sono il
5% dell’export dell’agroalimentare italiano. Il 73 ,3% dei consumi si concentra
su 4 tipologie di prodotti agricoli: frutta 24%, ortaggi 18.9%, derivati di
cereali 16.7%, latte e derivati 13.7%. I principali canali della distribuzione
sono la GDO (62.7%), i negozi specializzati (31.3%) e discount (6%). La
distribuzione geografica dei consumi vede in testa il nord con il 65% ed a
seguire il centro 24% e il sud l’11% (elaborazione Università La Sapienza su
dati ISMEA e NOMISMA). Di fatto al nord si trasforma e consuma, al centro sud
si produce, ma si trasforma poco, mentre i consumi sono molto contenuti.
L’incremento del numero di ettari investiti a biologico è,
quindi, inconfutabile, ma i dati ufficiali attualmente disponibili hanno il
grande limite di essere relativi solo alle superfici e non alle produzioni
effettivamente ottenute per singolo ordinamento colturale e zootecnico per cui
non è possibile, al momento, quantificare quanto sia il volume reale di
produzione per coltura o comparto zootecnico. In sostanza, non si è in grado di
stabilire in che percentuale l’agricoltura biologica italiana sia in grado di
rispondere adeguatamente alla domanda di mercato italiana ed estera. In questo
modo, risulta complesso poter pianificare degli interventi che consentano di
riequilibrare il rapporto tra domanda ed offerta di prodotti biologici.
Dall’analisi economica del comparto emerge come su 1,9
milioni di ettari destinati a biologico che rappresentano il 15,4% dell’intera
superfice agricola coltivata, l’82,1% è concentrato su quattro orientamenti
colturali: il 48,2% solo su foraggere e pascoli, il 16% su frumento, il 12,4%
su olivo il 5,5% su vite. Le ortive seguono con il 2.9% e le fruttifere con
l’1,8% delle fruttifere. Se, parallelamente, si analizza il settore zootecnico
si vede che l’incidenza dei capi allevati è modesta per cui foraggere e pascoli
sono decisamente eccedenti rispetto al patrimonio zootecnico mentre
l’ortofrutta che dovrebbe essere l’asse portante della filiera insieme alla
zootecnia appaiono decisamente insufficienti.
Se si esamina l’incidenza delle singole colture biologiche
rispetto al totale della produzione si evidenzia anche una situazione di
estrema debolezza: rispetto al totale della produzione agricola nazionale i
cereali bio incidono per il 9,8% le ortive rappresentano il 12,2%, i fruttiferi
il 12,8%, i cereali, il 9.8%, l’olivo il 20.3% la frutta in guscio il 32.8%.
Coldiretti ha evidenziato come da 20 anni a questa parte il
biologico sia cresciuto sotto la spinta degli aiuti dei Psr in assenza di una
progettazione della filiera nazionale che si intendeva realizzare tanto è vero
che alcune delle criticità che via via sono emerse, evidenziate anche da studi
dell’allora Inea e poi della Rete rurale ad esempio in merito a come impiegare
al meglio ed in modo sinergico le misure dei Psr non hanno avuto alcun riscontro
risolutivo, continuando le Regioni a muoversi in ordine sparso, per cui
continua a mancare una cabina di regia che, sulla base di una valutazione
d’impatto con tanto di indicatori, possa verificare quanto è stato attuato
delle azioni previste nei Piani nazionali di sviluppo dell’agricoltura
biologica elaborati dal Mipaaft e come abbiano inciso le risorse previste dalle
misure dei Psr a sostegno del settore, al fine di concentrare gli interventi su
quanto resta ancora da fare per una crescita armoniosa e solida della filiera.
La questione, ad esempio, del logo nazionale di
valorizzazione delle produzione biologiche italiane ha attraversato diverse
legislature senza vedere mai la sua realizzazione che a questo punto si auspica
possa verificarsi con l’approvazione del Ddl 998 “Disposizioni per la tutela,
lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e
dell’acquacoltura con metodo biologico”.
Ma altri interventi si rendono necessari per rafforzare la
filiera del bio: garantire la disponibilità sul mercato di mezzi tecnici
autorizzati (prodotti fitosanitari e fertilizzanti di origine naturale, sementi
di varietà adatte al metodo di produzione), rafforzare i controlli nella
direzione richiesta dall’ultima relazione della Corte dei Conti Ue, investire
in strutture di commercializzazione e trasformazione dedicate, incentivare la
vendita diretta, semplificare ulteriormente gli adempimenti burocratici a
carico delle imprese agricole bio, finanziare la ricerca rispondendo davvero
alle esigenze degli operatori della filiera a partire dagli agricoltori,
implementare il Sinab in modo che possa fornire dati disaggregati sulla
produzione quantitativa e non solo in termini di superfici dei singoli
ordinamenti colturali e zootecnici delle imprese.
Tutto ciò secondo Coldiretti, rende ancora più pressante la
necessità di un profondo ripensamento del modo in cui si sta gestendo a livello
nazionale e regionale la politica di sostegno al biologico se si vuole che
abbia un significativo impatto in termini migliorativi sull’ambiente perché il
biologico importato è, di per sé, una contraddizione inaccettabile in termini
di sostenibilità.
Fonte: Coldiretti Giovani Impresa
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