
In passato questo fenomeno è stato trattato alla stregua di
una mera curiosità botanica, ma oggi gli viene dedicata attenzione alla luce
delle più recenti scoperte in campo fisiologico. L’identificazione e la
caratterizzazione d’innesti radicali ha profondamente messo in discussione il
concetto ormai assodato di albero inteso come unità a sé stante, offrendo nuove
e affascinanti chiavi di lettura della biologia vegetale. Le attuali conoscenze
risultano, tuttavia, ancora parzialie prettamente descrittive. Inoltre,
numerosi fattori, quali la specie in esame, la sua tendenza a innestarsi, le
caratteristiche del substrato (come struttura e profondità), la densità
d’impianto e la natura della popolazione (omogenea vs mista) rappresentano
elementi di variabilità. Le evidenti difficoltà logistiche non consentono di
apprezzare quanto il fenomeno dell’innesto radicale sia diffuso in natura, ma
vi sono ipotesi concrete che sia ampiamente presente in certe specie rispetto
ad altre. Curiosamente, si è verificato che in un gruppo di tre alberi
omogenei, due individui erano interconnessi reciprocamente in molti punti, ma
nessuno di questi aveva contatto con il terzo. Sono noti anche casi nei quali
inibitori chimici sono rilasciati dalle radici, in misura tale da impedire
qualsiasi collegamento.
Gran parte degli studi sinora condotti sono a volti a
definire la valenza ecologica dell’innesto radicale soprattutto in contesti
naturali, per lo più forestali. La prima ipotesi è che il fenomeno contribuisca
ad aumentare le capacità di sostegno meccanico dei soggetti coinvolti nei
confronti del vento; per ottenere un tale risultato, però, dovrebbero essere
fuse le radici di grandi dimensioni, e vicine al colletto, evento, questo assai
infrequente. Rimangono, pertanto, dubbi se si tratti di un fenomeno adattativo
(con effetti mutualistici), o semplicemente accidentale, legato, ad esempio, a
costrizioni fisiche che impediscono il libero sviluppo delle radici. Certo è
che la presenza di innesti radicali può essere frequente anche in ambienti nei
quali la forza del vento non appare un fattore importante. Si sono quindi
esplorate altre possibili ipotesi, quali, ad esempio, un ruolo nel rallentare
il progressivo deperimento di esemplari più deboli,consentendo alle loro radici
di rimanere vitali grazie al continuo approvvigionamento idrico e nutrizionale.
Di conseguenza, i benefici in termini adattativi appaiono innumerevoli, con
risvolti a livello ecologico (in relazione ai processi di competizione e
dominanza), riproduttivo, biochimico e meccanico. Successivamente, è stato
dimostrato che questi stessi meccanismi sono coinvolti nelle interazioni non
competitive tra gli alberi in essere e quelli ceduati. Quest’ultimi, infatti,
possono continuare ad accrescersi (anche se in maniera disomogenea e parziale),
nonostante la completa rimozione della chioma grazie proprio alla presenza di
connessioni radicali. Un “vicino di casa” vigoroso può rappresentare un buon partner
sessuale (donatore di gameti), così da aumentare il potenziale riproduttivo
della specie.
Nonostante le molteplici implicazioni positive dell’innesto
radicale, è evidente che esso possa rappresentare una via di propagazione di
taluni microrganismi patogeni sistemici quali Ceratocystis platani e
Ophiostomaulmi(rispettivamente agenti causali di malattie letali, quali“cancro
colorato” del platano e“grafiosi” dell’olmo). Questi hanno considerevolmente
influenzato e messo in discussione numerose pratiche agronomiche, quali sesti
d’impianto ad alta densità e monocolture. Ad oggi, infatti, i mezzi disponibili
per contrastare la progressiva diffusione per via radicale di queste malattie
(ad esempio la separazione fisica delle radici tramite realizzazione di trincee)
sono poco pratici, costosi e improponibili in ambito urbano per ovvie ragioni
di sicurezza. Appare evidente come la difesa si basi essenzialmente su
strategie e interventi di carattere preventivo. In particolare, la messa a
dimora di impianti polifiti opportunamente progettati (così da aumentare le
distanze tra piantedella stessa specie) rappresenta la principale misura da
adottare. Sono noti anche casi relativi a malattie virali (la “psorosi” degli
agrumi) e fitoplasmali (“necrosi floematica” in olmo), per non parlare di
basidiomiceti agenti di carie e marciumi radicali.
Eclatante (e ancora irrisolto) è il caso di
Verticilliumnonalfalfae e Ailanthus altissima. Esemplari di ailanto non
inoculati, ma adiacenti a soggetti infetti, mostravano la sintomatologia tipica
delle tracheoverticilliosi (quali ingiallimento fogliare, imbrunimento dei vasi
legnosi, avvizzimento e progressiva defogliazione), confermando che gli innesti
radicali intraspecifici rappresentano una via rapida ed efficace di trasmissione
dell’agente patogeno. E’stato osservato anche che l’applicazione di un erbicida
selettivo determinava la morte non solo di ailanti trattati, ma anche di quelli
limitrofi, a seguito di traslocazione del principio attivo per anastomosi
radicale.
Alla luce di quanto detto, pare ragionevole affermare che
l’innesto radicale naturale intraspecifico risulti un fenomeno rilevante al
quale occorre dedicare maggior attenzione. E’ comunque certo che la storica
visione per la quale gli alberi non sono capaci di interazione con i loro
simili è superata, non solo perché sono ben dimostrati scambi molecolari a
livello fogliare, ma anche per le accertate possibilità di dare luogo a innesti
radicali con conseguentecondivisione di materiali.
Foto 1: Innesto radicale in Ulmus americana. E’ questa una
delle vie di diffusione naturale della “grafiosi”.
http://www.dutchelmdisease.org/EXPERT/DED/CORE/00/01/D1.HTML
Foto 2: Innesto radicale tra due esemplari di mangrovia nera
(Avicenniagerminans)
https://mangroverootnetworks.info/2019/01/14/the-journey-begins/
Fonte: Accademia dei Georgofili
Autore: Elisa Pellegrini
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