Le trasformazioni economiche che segnano l’Europa e il mondo
in età contemporanea sono dominate dall’espandersi e dall’affermarsi, in tempi
e modalità differenti, del modello produttivo industriale e da una
straordinaria crescita dell’industria manifatturiera e dei servizi. Basti
ricordare che, secondo alcuni calcoli, la produzione industriale mondiale
sarebbe cresciuta di quasi 90 volte in poco più di due secoli, dai decenni
successivi alla metà del Settecento al 1980.
Il nuovo protagonismo del settore industriale si accompagna,
nel corso dei secoli dell’età contemporanea, alla progressiva riduzione del
ruolo dell’agricoltura nell’economia.
Fino al Settecento, l’agricoltura è la fonte principale di
ricchezza, di potere e di occupazione. Se si esclude l’Inghilterra, in quasi
tutta l’Europa (ma anche nel resto del mondo) almeno l’80% della popolazione
lavora la terra e vive di agricoltura in campagna, in villaggi o fattorie
isolate. Ciò significa che, su 100 persone che lavorano, almeno 80 sono
contadini che col loro lavoro mantengono se stessi e una ventina di persone
dedite ad altre attività (clero, governanti, mercanti, artigiani,
professionisti, ecc.).
Nel corso dell’Ottocento, e ancor più nel Novecento, con il
procedere dell’industrializzazione, si assiste a un ridimensionamento
dell’agricoltura, che progressivamente cessa di essere l’attività economica
predominante in un numero crescente di paesi industrializzati. Progressivo è,
infatti, il declino della quota della popolazione attiva impiegata
nell’agricoltura e della quota percentuale del settore agricolo nel reddito
nazionale, che oggi in molti paesi rappresenta meno del 5% del reddito e degli
occupati (in Italia il 3,8% circa).
Il processo è lento, avviene sul lungo periodo e in tempi diversi
nei diversi Stati: l’agricoltura conserva un ruolo centrale in molti paesi
europei ben oltre l’Ottocento (in Italia, ancora nel secondo dopoguerra,
l’agricoltura fornisce un quarto della ricchezza nazionale). Il calo della
popolazione agricola sotto il 50% della popolazione attiva poi non si verifica
prima del XX secolo nella maggior parte dei paesi europei e ha luogo solo nel
secondo dopoguerra in gran parte dell’Europa orientale e meridionale. In
Italia, ad esempio, il numero di addetti all’agricoltura scende dal 61% del
1900-1910, al 55% del 1920-1930, al 42,2% del 1951, all’attuale 3,8%. Oggi,
solo nei paesi più arretrati tale percentuale si aggira intorno al 40-50%.
Declino dell’agricoltura, crescita della produttività
Il declino dell’agricoltura nei paesi industrializzati in
termini di reddito e di occupati si accompagna, con apparente paradosso, a una
crescita della produzione e della produttività dell’agricoltura senza
precedenti. Secondo le stime di Paul Bairoch, in tutta Europa la produzione di
grano aumenta del 45% nel XIX secolo, del 23% nella prima metà del Novecento, e
del 193% tra il 1950 e il 1985. Dunque, il settore agricolo non può essere
considerato né povero né residuale. Conosce al contrario sviluppi giganteschi e
contribuisce notevolmente al progresso economico del mondo occidentale
permettendo di superare il rischio di carestie (l’ultima grande carestia
europea si verifica in Irlanda tra il 1845 e il 1851 causando la morte di un
milione di persone, 1/8 circa della popolazione irlandese), vincere seppur
lentamente la malnutrizione e sostenere una popolazione in crescita.
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