Borse merci, contratti di filiera, futures e finanza. Ecco
quali sono le dinamiche che portano alla formazione dei prezzi dei prodotti
agricoli.
Ogni agricoltore ha un pensiero fisso in testa: sapere a
quale prezzo riuscirà a vendere il frutto del proprio lavoro. Una informazione
cruciale che fa la differenza tra avere un guadagno o chiudere l'anno in
perdita.
Tuttavia non sempre è chiaro quali siano le dinamiche che
portano a stabilire che un dato prodotto alimentare vale un certo quantitativo
di denaro. Anzi, leggendo i report sulle quotazioni spesso si rimane
disorientati. Cerchiamo dunque di fare chiarezza.
Storicamente il prezzo dei prodotti agricoli, dal grano
all'olio, dalla carne di maiale al miele, veniva fatto al mercato.
L'agricoltore portava i suoi prodotti in paese e contrattava con l'acquirente
il giusto prezzo che, molto semplicemente, dipendeva da quanto prodotto era
disponibile in commercio e da quanto ne richiedevano i compratori. La famosa
legge della domanda-offerta.
Lo stesso principio sta dietro alle Borse merci, nate più di
un secolo fa. Luoghi in cui si scambiano prodotti e in cui vengono annotati i
prezzi di vendita. Quei prezzi diventano così il punto di riferimento di un
intero settore e ancora oggi piazze come quella di Milano, Bologna o Foggia
danno indicazioni importanti sull'andamento dei prezzi dei cereali. Mantova lo
fa per i suini, mentre Parma per la carne macellata.
"Tuttavia solo una piccola parte dei prodotti agricoli
passa dalle Borse merci di cui, tra l'altro, non abbiamo indicazione sui reali
volumi scambiati", spiega ad Gabriele Canali, professore di economia
agraria all'Università Cattolica.
Le Borse merci nazionali stanno di fatto attraversando un
periodo di riforma perché non sono più rappresentative del mercato. "Il
Mipaaf sta spingendo gli operatori ad avere per ogni prodotto una sede
nazionale unica in cui trovarsi per vendere e acquistare e dunque fare il
prezzo. Questo porterebbe sicuramente più trasparenza al settore".
Anche perché ad oggi uno stesso prodotto, con medesime
qualità e modalità di consegna, può avere un prezzo diverso tra una piazza e
l'altra. Per cercare di mettere dei punti fermi nel 2006 è stata lanciata la
Borsa merci telematica, un luogo virtuale in cui acquirenti e venditori possono
incontrarsi per scambiarsi derrate agricole e non solo. In questo modo si
dovrebbe avere certezza dei volumi scambiati e i prezzi sarebbero uguali in
tutta la Penisola, da nord a sud. Ma anche questa soluzione fa fatica a
prendere piede e la maggior parte delle vendite segue altre strade.
Accanto alle Borse c'è infatti il lavoro degli stoccatori e
degli intermediari che spesso hanno rapporti diretti con le aziende. Oppure
sono le aziende stesse o i consorzi che concordano il prezzo con gli
agricoltori. È il caso del pomodoro da industria dove i consorzi dei
trasformatori si mettono d'accordo in anticipo con i rappresentati degli
agricoltori su superfici da coltivare, prezzo e qualità. Molte aziende poi
utilizzano gli accordi di filiera, impegnandosi ad acquistare dall'agricoltore
ad un prezzo premium un dato bene che però deve essere prodotto secondo un
disciplinare condiviso.
Se queste contrattazioni sono locali, delle volte regionali
e raramente nazionali, ci sono fenomeni internazionali che possono influenzare
i prezzi. Quasi tutti hanno sentito parlare dei futures, ma il loro
funzionamento è tutt'altro che scontato. "Un future è un contratto
standard che regola la vendita e l'acquisto di un dato quantitativo di prodotto
nel futuro", spiega Canali. "Prodotto che deve avere caratteristiche
standard e grandi volumi di produzione, come ad esempio il mais, la soia o il
frumento".
Esempio. La cooperativa Rossi prevede che a maggio 2017 avrà
prodotto cento quintali di grano duro, ma non aspetta la trebbiatura per venderlo,
bensì mette il raccolto futuro sul mercato dei futures. Un acquirente, come una
industria molitoria, che sa avrà bisogno di quel grano, potrà acquistarlo
concordando il prezzo. Così la cooperativa è sicura di avere un acquirente e il
mulino di avere grano da macinare.
Così sono nati i futures nell'Ottocento (ma tracce di
accordi simili risalgono alla Mesopotamia), anche se il primo mercato dove
scambiarli è stato istituito nell'America degli anni '70. Poi però sono
cambiati. Perché se l'azienda molitoria compra a 100 il future e poi il prezzo
del grano duro sale può pensare di rivendere il suo contratto di acquisto ad un
altro mulino ad un prezzo maggiorato, intascandosi la differenza come profitto
finanziario. Questa prassi introduce una logica speculativa tipica dei mercati
azionari.
I centri di questi scambi sono le Borse dei futures di
Chicago, Londra, Mumbai e altre ancora. Gli scambi di futures avvengono a
velocità elevate, comprati e venduti nel giro di pochi minuti, se non secondi,
per sfruttare le oscillazioni di prezzo. La notizia del maltempo in Canada o di
un aumento delle produzioni in Uzbekistan possono fare salire o scendere le
quotazioni del grano, come anche i movimenti di grossi fondi d'investimento.
In Italia non ci sono Borse dei futures, ma questo non
significa che i prezzi delle materie prime prodotte nel nostro Parse non siano
influenzate. Perché anche se su questi mercati non vengono scambiati beni
reali, i prezzi che si formano influenzano indirettamente la percezione del mercato.
Se un fondo pensione statunitense investe miliardi di dollari nei futures della
soia farà salire il prezzo in alto per la gioia dell'agricoltore, ma poi il
prezzo calerà altrettanto velocemente al momento del disinvestimento.
Eppure quando il future va a scadenza qualcuno dovrà
ritirare la merce, no? Ní, perché nella maggior parte dei casi chi mette sul
mercato un future poi lo ricompra (in realtà vengono stipulati dei contratti
uguali ma di segno opposto che di fatto portano l'operazione a zero).
I critici affermano che questo sistema vizi le quotazioni
delle derrate alimentari perché i prezzi vengono influenzati da un sistema che
scambia contratti e non beni reali. Per i sostenitori invece i futures sono
invece dei validi strumenti con cui i produttori possono tutelarsi. Se infatti
la cooperativa vende al momento della semina il raccolto a 100 e poi nel
periodo della trebbiatura il prezzo cala a 90 si sarà tutelata rispetto alle
fluttuazioni di mercato, scaricando sul molitore (o lo speculatore) il rischio.
Una cosa è certa, per l'agricoltura capire perché i prezzi
dei prodotti agricoli salgono o scendono è sempre più difficile.
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