Caporalato invisibile nei supermercati dell’Unione Europea:
dal riso asiatico, alle conserve di pomodoro cinesi, dall’ortofrutta
sudamericana a quella africana come le arance dall’Egitto, gli scaffali dei
supermercati dell’Unione Europea sono invasi dalle importazioni di prodotti
extracomunitari ottenuti dallo sfruttamento spesso anche grazie alle
agevolazioni a dazio zero. E’ quanto si afferma in riferimento al rapporto
‘Best Practices against Work Exploitation in Agriculture‘, realizzato dal Milan
Center for Food Law and Policy, in collaborazione con Coop e presentato al Parlamento
Europeo. Riso, conserve di pomodoro, olio d’oliva, ortofrutta fresca e
trasformata, zucchero di canna, rose, olio di palma sono solo alcuni dei
prodotti stranieri che arrivano in Europa ed in Italia e che sono spesso il
frutto di un caporalato invisibile che passa inosservato solo perché avviene in
Paesi lontani, dove viene sfruttato il lavoro minorile, che riguarda in
agricoltura circa 100 milioni di bambini secondo l’Organizzazione
Internazionale del Lavoro (ILO), di operai sottopagati e sottoposti a rischi
per la salute, di detenuti o addirittura di veri e propri moderni “schiavi”. E
tutto questo accade nell’indifferenza delle Istituzioni nazionali ed europee
che anzi spesso alimentano di fatto il commercio dei frutti dello sfruttamento
con agevolazioni o accordi privilegiati per gli scambi che avvantaggiano solo
le multinazionali.
Un esempio è rappresentato dalle importazioni di conserve di
pomodoro dalla Cina al centro delle critiche internazionali per il fenomeno dei
laogai, i campi agricoli lager che secondo alcuni sarebbero ancora attivi,
nonostante l’annuncio della loro chiusura. Nel 2016 sono aumentate del 43% le
importazioni in Italia di concentrato di pomodoro dal Paese asiatico che hanno
raggiunto circa 100 milioni di chili, pari a circa il 10% della produzione
nazionale in pomodoro fresco equivalente. In questo modo, c’è il rischio
concreto che il concentrato di pomodoro cinese, magari coltivato da veri e
propri schiavi moderni, venga spacciato come Made in Italy sui mercati
nazionali ed esteri per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la
provenienza. Un problema che riguarda anche il riso straniero i cui arrivi in
Italia hanno raggiunto il record nel 2016, con una vera invasione da Oriente da
cui proviene quasi la metà delle importazioni secondo il Rapporto Coldiretti,
Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema
agroalimentare. L’aumento varia dal +489% per gli arrivi dal Vietnam al +46%
dalla Thailandia per effetto dell’introduzione da parte dell’Ue del sistema
tariffario agevolato per i Paesi che operano in regime EBA (tutto tranne le
armi) a dazio zero. Un regalo alle multinazionali del commercio che sfruttano
gli agricoltori locali, i quali subiscono peraltro lo sfruttamento del lavoro
anche minorile e danni sulla salute e sull’ambiente provocati dall’impiego
intensivo di prodotti chimici vietati in Europa. Rilevanti sono anche le
importazioni di nocciole dalla Turchia sulla quale pende l’accusa per lo
sfruttamento del lavoro delle minoranze curde, ma il problema dello
sfruttamento riguarda anche le rose dal Kenya per il lavoro sottopagato e senza
diritti, i fiori dalla Colombia dove è stato denunciato lo sfruttamento del
lavoro femminile o la carne dal Brasile dove è stato denunciato il lavoro minorile.
Le banane sono il terzo frutto più consumato in Italia, ma su quelle che
vengono dall’Ecuador sono stati segnalati trattamenti chimici fuorilegge in
Europa, mentre lo zucchero di canna, divenuto di gran moda, viene ottenuto in
Bolivia in piantagioni dove si segnala l’abuso di stimolanti per aumentare la
resistenza al lavoro.
Ci sono trattative in corso anche per i prodotti frutticoli
con i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay) dove non ci
sono le stesse norme di tutela di lavoro vigenti in Italia. L’Argentina, che è
nella lista nera del Dipartimento di Stato Americano per lo sfruttamento del
lavoro minorile nelle coltivazioni di aglio, uva, olive, fragole, pomodori, ha
aumentato le esportazioni di prodotti ortofrutticoli in Italia del 17% nel
corso del 2016. O ancora l’Egitto con le importazioni di ortofrutta in Italia
che sono aumentate del 20% nel 2016 rispetto all’anno precedente raggiungendo i
100 milioni di euro. Le fragole dell’Egitto sono indicate dal sistema di
allarme rapido UE (RASFF) tra i cibi più contaminati per residui chimici, con
le melagrane che superano i limiti in un caso su tre (33%). Fuori norma dal
Paese africano sono anche l’11% delle fragole e il 5% delle arance che arrivano
peraltro in Italia, grazie alle agevolazioni concesse dall’Unione Europea. Un
pericolo per la salute dei consumatori, ma anche degli agricoltori locali
spesso vittime di sfruttamento. Un caso a parte è quello delle importazioni di
olio di palma ad uso alimentare che in Italia sono più che raddoppiate negli
ultimi 20 anni raggiungendo nel 2016 circa 500 milioni di chili. Uno sviluppo
enorme che sta portando al disboscamento di vaste foreste senza dimenticare
l’inquinamento provocato dal trasporto a migliaia di chilometri di distanza dal
luogo di produzione e naturalmente le condizioni di sfruttamento del lavoro
delle popolazioni locali private di qualsiasi diritto. “Non è accettabile che
alle importazioni sia consentito di aggirare le norme previste in Italia dalla
legge nazionale sul caporalato, ed è necessario, invece, che tutti i prodotti
che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri a
tutela della dignità dei lavoratori, garantendo che dietro tutti gli alimenti,
italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un percorso di qualità
che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro, con una giusta distribuzione
del valore a sostegno di un vero commercio equo e solidale”, ha affermato il
presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo.
Fonte: Coldiretti Giovani Impresa
Nessun commento:
Posta un commento