giovedì 15 giugno 2017

Progressivo decadimento nel panorama della coltura dell'albicocco… Lettera aperta di un agricoltore

"Mi auguro che il mercato si possa leggermente riprendere. Noi continueremo a fare del nostro meglio. Non lo dico per me, ma per gli operai che ho a carico. Mi dispiacerebbe dover dire loro che oggi non si lavora (e lasciare le albicocche sulle piante, come già ho fatto) perché la frutta non mi viene pagata abbastanza", così ci scrive Gabriele Farolfi (annata '87) agricoltore e socio della Giorgia Società Agricola del faentino pedocollinare. "Vale a dire - aggiunge - una delle note zone di origine della moderna coltivazione dell'albicocco. Si perché essa è nata prima dalle colline (del Santerno in primis, ma seguite poi anche dalle nostre) per poi spostarsi in pianura".

Gabriele ricorda: "In collina, per 15 anni, l'albicocco ci ha permesso di fare investimenti e di crescere su di un territorio che spesso non offriva alternative, al di là di qualche impianto di vigneto. Perché l'albicocco viene bene nella terra cattiva (ed è vero! senza esagerare). Ci ha permesso di crescere, mantenendo uno standard qualitativo adeguato alle richieste del mercato. Frutta bella e saporita e matura, lavorata bene, non certo prodotto da ammasso".

"Oggi, purtroppo, spostando le produzioni sempre più in aree pianeggianti, con varietà non sempre buone al palato, la qualità del prodotto sta scadendo, e diventando di molto inferiore, anche perché non conosciamo bene le varietà che andiamo piantando, visto che in molti siamo di derivazione peschicola!"

Secondo l'agricoltore, c'è anche un altro fattore ha influito negativamente sulla qualità dei frutti: l'aver voluto piantare albicocchi con sesti da kiwi, allorché l'arrivo della batteriosi dell'actinidia ha spinto molti a riconvertire i frutteti. "Cosa abbiamo ottenuto? Solo frutta grossa che sa di zucca!", commenta Farolfi.

E prosegue: "Il mercato interno ci ha riconosciuto remunerazioni eccezionali in passato. Merito di tutto il nostro lavoro volto alla qualità del prodotto finale; dalla scelta dell'astone, del sesto di impianto, di concimazione, irrigazione, potatura, raccolta e lavorazione! E non c'è niente di eccezionale, perché così penso che debba comportarsi un'azienda che investe in qualcosa. Non capisco invece chi fa il pecorone e segue la massa solo perché gli è stato detto che così e che cosà... e si cade sempre nella vortice dei volumi da smaltire! Per noi, fare 20 tonnellate di albicocche per ettaro rischia di essere quasi troppo!"

Infine, il nostro agricoltore ha da dire qualcosa sulla concorrenza, riconoscendo che: "La Spagna ci fa le scarpe da tutte le parti. Non è un caso se la frutta e verdura estiva in Europa sono al 90% di provenienza spagnola; pur non avendo le cooperative più grandi d'Europa e producendo meno albicocche di noi, ne esportano già più del doppio rispetto alle nostre esportazioni e non è una questione di prezzo, bensì di organizzazione! Se il nostro mercato va male non è per la Spagna ma è solo colpa nostra! Così come se non va la frutta è solo la conseguenza delle nostre scelte più o meno professionali. Punto. Prendiamoci le nostre responsabilità".

Autore: Gabriele Farolfi


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