"Mi auguro che il mercato si possa leggermente
riprendere. Noi continueremo a fare del nostro meglio. Non lo dico per me, ma
per gli operai che ho a carico. Mi dispiacerebbe dover dire loro che oggi non
si lavora (e lasciare le albicocche sulle piante, come già ho fatto) perché la
frutta non mi viene pagata abbastanza", così ci scrive Gabriele Farolfi
(annata '87) agricoltore e socio della Giorgia Società Agricola del faentino
pedocollinare. "Vale a dire - aggiunge - una delle note zone di origine
della moderna coltivazione dell'albicocco. Si perché essa è nata prima dalle
colline (del Santerno in primis, ma seguite poi anche dalle nostre) per poi
spostarsi in pianura".
Gabriele ricorda: "In collina, per 15 anni, l'albicocco
ci ha permesso di fare investimenti e di crescere su di un territorio che
spesso non offriva alternative, al di là di qualche impianto di vigneto. Perché
l'albicocco viene bene nella terra cattiva (ed è vero! senza esagerare). Ci ha
permesso di crescere, mantenendo uno standard qualitativo adeguato alle
richieste del mercato. Frutta bella e saporita e matura, lavorata bene, non
certo prodotto da ammasso".
"Oggi, purtroppo, spostando le produzioni sempre più in
aree pianeggianti, con varietà non sempre buone al palato, la qualità del
prodotto sta scadendo, e diventando di molto inferiore, anche perché non
conosciamo bene le varietà che andiamo piantando, visto che in molti siamo di
derivazione peschicola!"
Secondo l'agricoltore, c'è anche un altro fattore ha
influito negativamente sulla qualità dei frutti: l'aver voluto piantare
albicocchi con sesti da kiwi, allorché l'arrivo della batteriosi dell'actinidia
ha spinto molti a riconvertire i frutteti. "Cosa abbiamo ottenuto? Solo
frutta grossa che sa di zucca!", commenta Farolfi.
E prosegue: "Il mercato interno ci ha riconosciuto
remunerazioni eccezionali in passato. Merito di tutto il nostro lavoro volto
alla qualità del prodotto finale; dalla scelta dell'astone, del sesto di
impianto, di concimazione, irrigazione, potatura, raccolta e lavorazione! E non
c'è niente di eccezionale, perché così penso che debba comportarsi un'azienda
che investe in qualcosa. Non capisco invece chi fa il pecorone e segue la massa
solo perché gli è stato detto che così e che cosà... e si cade sempre nella
vortice dei volumi da smaltire! Per noi, fare 20 tonnellate di albicocche per
ettaro rischia di essere quasi troppo!"
Infine, il nostro agricoltore ha da dire qualcosa sulla
concorrenza, riconoscendo che: "La Spagna ci fa le scarpe da tutte le
parti. Non è un caso se la frutta e verdura estiva in Europa sono al 90% di
provenienza spagnola; pur non avendo le cooperative più grandi d'Europa e
producendo meno albicocche di noi, ne esportano già più del doppio rispetto
alle nostre esportazioni e non è una questione di prezzo, bensì di
organizzazione! Se il nostro mercato va male non è per la Spagna ma è solo
colpa nostra! Così come se non va la frutta è solo la conseguenza delle nostre
scelte più o meno professionali. Punto. Prendiamoci le nostre
responsabilità".
Autore: Gabriele Farolfi
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