Gli allevatori di suini hanno chiuso un’annata positiva, ma
non devono abbassare la guardia e smettere di pensare al futuro del settore.
Servono infatti nuove strategie di aggregazione e valorizzazione dell’offerta
in grado di governare il settore nei momenti più difficili. E’ questo in
sintesi il pensiero di Claudio Canali,
nuovo presidente della Federazione nazionale di Prodotto di Confagricoltura.
“Dopo 8 anni di crisi– spiega Canali - gli allevatori di
suini destinati al circuito delle Dop sono usciti dal tunnel grazie alla forte
domanda di carne della Cina che da maggio 2016
ha avviato un programma di riqualificazione e delocalizzazione dei suoi
allevamenti incrementato gli acquisti sul mercato europeo. Il prezzo di conseguenza si è impennato e si è
mantenuto soddisfacente per quest’ultimo anno e mezzo. Mediamente in base ai
bollettini della Cun (Commissione Unica Nazionale) i suini grassi nel 2017 sono
stati pagati 1,67 euro al chilogrammo”.
Alla ripresa dei listini si è unito anche il vantaggio di un costo di alimentazione
medio basso che non ha inciso in maniera pesante sulle spese di produzione. “Il
risultato – ribadisce il presidente nazionale della sezione di prodotto - è
quello di una congiuntura favorevole che
dura da circa un anno e mezzo anche se non consente di recuperare completamente
rispetto a tutti gli anni di crisi”.
Una crisi che ha comunque segnato pesantemente il comparto:
si pensi, come ha sottolineato Canali, alla consistenza del patrimonio
suinicolo nazionale passato dai 9 milioni e 300 mila capi del 2010 a 8,5
milioni di oggi. In particolare sono diminuite le scrofe, oggi 470mila rispetto
alle 600mila del 2010. Sono aumentati al contrario i suinetti importati da
paesi Ue per l’ingrasso saliti a circa 1,5 milioni (nel 2010 erano 1 milione).
“Negli anni di difficoltà – precisa Canali - gli allevamenti
si sono trasformati: alcuni per necessità sono ricorsi alla soccida che oggi
coinvolge circa un 30% degli allevamenti italiani, altri sono passati ai suini
di importazione non legati alle Dop e destinati anche al segmento della carne
fresca”.
Il settore continua però a essere penalizzato da
un’eccessiva frammentazione dell’offerta rispetto ai macelli e all’industria di
trasformazione. “Proprio in questi momenti di condizioni favorevoli – avverte
Canali - sarebbe necessario ripensare al
futuro del comparto. La via è quella dell’aggregazione per trovare modalità più
corrette di distribuzione del valore lungo la filiera. Anche sul piano della
valorizzazione occorre fare di più soprattutto sui mercati esteri. Oggi sono in
corso iniziative di promozione del made in Italy, ma bisogna imparare a
lavorare tutti in filiera per vendere
bene all’estero”. (F.B.)
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