Dopo quattro generazioni in cui il lavoro in agricoltura è
stato rappresentato come ambito di miseria, ignoranza e fatica, i dati
statistici indicano che i giovani stanno riscoprendo l’agricoltura anche e
soprattutto come fonte di occupazione e reddito. Segnali “deboli”, ma in
controtendenza rispetto all’abituale scenario fatto di giovani in fuga dalle
campagne alla ricerca di un futuro professionale nelle città. L’agricoltura sta
ridiventando uno dei settori a maggiore dinamicità imprenditoriale: cresce il
numero degli occupati a differenza di tutti gli altri settori e soprattutto
cresce la natalità delle aziende.
Le difficoltà economiche che attraversa il Paese, oltre a
modificare stili di vita e consumo delle famiglie, stanno trasformando il
quadro dei valori e delle aspirazioni professionali dei giovani. Una tendenza
che emerge anche dall’analisi del trend delle iscrizioni alle facoltà
universitarie e agli istituti professionali a indirizzo agrario. L’interesse
dei giovani per il mondo rurale è alla base anche della crescita delle
iscrizioni alle scuole di agraria, enogastronomia e turismo.
E presto per dire se siamo entrati in un profondo
cambiamento nel rapporto tra giovani e mondo dell’agricoltura, con un “ritorno
alla terra” fondato su motivazioni di carattere economico, professionale e
culturale, anche perché a ridimensionare i dati statistici ci ha pensato la
recente ricerca “Giovani ed agricoltura, risorsa per il Paese”, realizzata da
Nomisma per l’Informatore Agrario e Federunacoma. I dati capovolgono
addirittura il quadro, smentendo la tesi del ritorno all’agricoltura, e più di
un dubbio sul loro futuro professionale ce l’hanno gli stessi giovani,
intervistati nell’ambito di un campione di circa 600 aziende agricole condotte
da under 40. Il dato più preoccupante riguarda l’autostima dei giovani
agricoltori, poiché buona parte di loro pensa che la società percepisce il
mestiere di agricoltore di status inferiore ad altri lavori.
Che l’agricoltura non sia in cima alle preferenze dei
giovani in cerca di prima occupazione emerge anche da un’altra indagine di
Nomisma su un campione rappresentativo di giovani italiani, che seppure
attribuiscono un ruolo sociale importante all’agricoltura (tutela del
territorio, valorizzazione del paesaggio, ecc.), poi finiscono per ammettere
che “forse è meglio se la praticano altri”. In definitiva, è il commento di
Nomisma, per rendere attraente l’agricoltura è necessario da un lato
restituirle il giusto ruolo sociale per favorire l’ingresso e la permanenza di
giovani, dall’altro bisogna consolidare gli strumenti per favorire
competitività, innovazione ed accesso alla terra.
Nel Mezzogiorno, dove il Pil negli ultimi 5 anni è andato
giù più che in Grecia, l’agricoltura non è solo sfruttamento della manodopera
migrante e caporalato. La Calabria, ad esempio, è al secondo posto per numero
di aziende biologiche e per ettari di terreno coltivati biologicamente. I “nuovi
contadini” non hanno più nulla a che vedere con quella “agricoltura
dell’assurdo” stigmatizzata da Rossi Doria: un modello produttivo votato
all’autoconsumo, in cui la sproporzione tra l’impegno lavorativo e i risultati
concreti aveva l’effetto di rendere l’attività diseconomica e faticosa, al
punto di indurre ad emigrare in cerca di condizioni di lavoro e vita più
soddisfacenti. Oggi, invece, l’agricoltura è fatta di idee, innovazione,
creatività, cultura e professionalità.
Fonte: Punto.ponte
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