Da sempre Slow Food pone la difesa della biodiversità al
centro dei suoi progetti per tutelare la straordinaria ricchezza del nostro
Pianeta. La Fondazione Slow Food per la Biodiversità ha dato vita a uno degli
strumenti più forti dell’Associazione: i Presìdi, che sostengono le piccole
produzioni tradizionali che rischiano di scomparire, valorizzano territori,
recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvano dall’estinzione
razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta.
A Terra Madre Salone del Gusto 2018 debuttano 22 nuovi
Presìdi italiani che vanno ad arricchire lo straordinario bagaglio della
Fondazione. Sono otto le regioni che presentano quest’anno una nuova ricchezza
da tutelare: Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Marche,
Campania, Puglia e Sicilia.
Piemonte
Riso gigante di Vercelli
Iniziamo dal Nord con il Piemonte che quest’anno presenta il
riso gigante di Vercelli. Coltivato nella capitale europea del riso, questa
varietà è stata abbandonata intorno gli Anni ‘50 per lasciare spazio ad altre
più produttive. Oggi alcuni agricoltori l’hanno recuperata per le proprietà
nutrizionali e per la resistenza alle malattie fungine. Ottimo per la cottura e
la mantecatura, la sua rappresentazione più tradizionale è la panissa
vercellese: un risotto con vino rosso, salame della duja, lardo, fagioli e
cotica di maiale.
Il Presidio è protagonista del Laboratorio del Gusto
Un’arancina gigante e del programma dei Tour Divini con l’appuntamento Alla
scoperta della provincia di Vercelli.
Veneto
Broccoletto di Custoza
Proseguiamo a Est con il Veneto che propone il broccoletto
di Custoza. Coltivato solo da otto agricoltori, un tempo era considerato una
coltura di recupero per terreni aridi e sassosi. La pianta è facilmente
distinguibile da altri broccoli perché non sviluppa il panetto fiorale, tipico
di queste specie, ma un cuore centrale di foglie. Si raccoglie a mano e si
consuma per intero, compresa la costola che è tenera e non filamentosa. Grazie
alle sue caratteristiche e al gusto delicato e leggermente dolce, le famiglie
di Custoza lo mangiano semplicemente scottato in acqua bollente, condito con
olio extravergine e accompagnato da uova sode e salame.
Friuli Venezia Giulia
Fagiolo di San Quirino
A San Quirino, un piccolo centro del pordenonese, si coltiva
fin dall’800 questo piccolo fagiolo dal grande potere economico. Infatti, a
quel tempo il suo prezzo superava quello dell’avena e del granturco. Nonostante
il loro grande valore, la coltivazione di questi fagioli è quasi scomparsa a
partire dal Novecento. Fino a oggi, quando alcuni giovani hanno recuperato la
semente e ripreso la coltivazione tradizionale: raccogliendo, essiccando e
battendo le piante a mano con bastoni di legno per far uscire i semi dal
baccello. I fagioli si lasciano poi asciugare al sole per qualche giorno e si
conservano in sacchi di juta.
Antiche mele dell’Alto Friuli
Nel Friuli Venezia Giulia la coltivazione del melo risale ai
tempi della dominazione romana. Negli anni, poi, ci sono state varie
contaminazioni: alcune varietà erano autoctone, altre importate da friulani
emigrati in giro per il mondo. Nell’ultimo secolo la maggioranza di queste mele
è stata soppiantata da poche varietà commerciali da reddito. Slow Food ha
riunito nel Presidio gli agricoltori custodi di dieci varietà storiche (gialla
di Priuso, di corone, ruggine dorata, rosso invernale, chei di rose,
naranzinis, striato dolce, zeuka, Marc Panara e blancon) e ha stilato un
disciplinare di produzione, che definisce l’area di produzione e prevede
tecniche di coltivazione sostenibili.
Varhackara
Il varhackara è un pesto particolare della provincia di
Udine (Paluzza), preparato con lardo bianco, speck, pancetta affumicata e
l’aggiunta di qualche erba aromatica. Tradizionalmente è conservato nella
pietra e può essere consumato come antipasto spalmato sul pane o sui crostini
caldi o, ancora, come condimento per un piatto a base di gnocchi di patate o
una pasta tipica friulana che sono i cjarsons. Il prodotto può essere
acquistato oggi solo da due produttori e rischia di scomparire presto.
Toscana
Pomodoro canestrino di Lucca
Dalla Toscana arriva il pomodoro canestrino di Lucca, il cui
nome è legato alla forma a canestro. Una varietà tanto apprezzata in passato
che ogni famiglia della zona conservava gelosamente i propri semi. Questo ha
permesso di mantenere una buona variabilità genetica e, oggi, grazie agli
ultimi superstiti custodi delle sementi, di salvare la varietà. Il Presidio
nasce per valorizzare il canestrino, anche detto “costoluto” o “cresputo”, e
distinguerlo dal più comune cuore di bue, un cugino ibrido e per questo di più
facile coltivazione.
Assaggialo al Laboratorio del Gusto Una finestra sulla
biodinamica: la comunità lucchese.
Olivo quercetano
L’olivo quercetano è una varietà autoctona della località di
Querceta (Lu) che oggi rischia l’estinzione a causa dell’urbanizzazione che ha
ridotto la coltivazione a piccoli fazzoletti di terra tra le case. A causa
delle piccole dimensioni delle olive e del rapporto polpa-nocciolo sfavorevole
rispetto ad altre varietà, l’oliva quercetana è attaccata in ritardo dalla
mosca delle olive e quindi consente di ottenere un olio di qualità superiore.
La sua produttività non è sempre costante, ad annate buone si succedono annate
molto scarse ma la qualità dell’olio resta sempre eccellente.
Marche
Anice verde di Castignano
Nelle Marche l’anice è consumato e commercializzato già dal
‘700 e la sua coltivazione è molto diffusa in particolare nel Piceno. In questa
zona l’esposizione soleggiata e le fresche correnti permettono di selezionare
un ecotipo di anice verde più ricco in profumo e dolcezza, grazie alla
straordinaria concentrazione di anetolo (il composto aromatico dell’anice e del
finocchio) pari al 94%. Oltre al liquore all’anice, simbolo della regione,
classico è anche l’utilizzo in tisana, come decotto, e la trasformazione in
latte di anice, che si ottiene pestando i semi e lasciandoli in infusione per 5
minuti nel latte bollente.
Fava di Fratte Rosa
A Fratte Rosa, piccolo paese tra le colline pesaresi, gli
abitanti sostengono che le fave migliori siano quelle coltivate sui lubachi, i
terreni ricchi di argilla bianca che hanno dato origine a due produzioni
tipiche del posto: i “cocci” di terracotta e le fave. Nei secoli, i contadini
hanno selezionato un ecotipo dal caratteristico baccello corto contenente in
media quattro semi dal gusto dolce e teneri anche a piena maturazione. Per
decenni le fave sono state un alimento base per la popolazione locale: fresche
o secche erano ingrediente di varie ricette casalinghe, trasformate in farina,
miscelata con la farina di grano, servivano per produrre pane e pasta.
Campania
Pecora laticauda
Il nome della pecora laticauda fa riferimento alla larga
coda che la caratterizza e le serve da riserva di grasso e acqua. Questo ovino,
di grandi dimensioni, è frutto di vari incroci, tra cui quello tra la pecora
nord-africana, detta barbaresca, e la pecora appenninica locale. Il prodotto
più pregiato della razza è l’agnello che ha un’alta resa alla macellazione e le
cui carni sono prive del tipico odore ircino degli ovini. Oltre a produrre
buone quantità di formaggi, la laticauda è particolarmente conosciuta per gli
ammugliatielli, tipici involtini preparati con il quinto quarto.
Assaggia le ricette che vedono protagonista il Presidio
durante la Scuola di Cucina Sapori irpini: la pecora laticauda – questione di
razza.
Fusillo di Felitto
Il fusillo di Felitto è un cilindro cavo di pasta all’uovo
dalla lunghezza compresa tra i 18 e i 22 cm. Viene fatto completamente a mano
dalle donne del paese del salernitano che danno la forma alla pasta servendosi
di un ferro finissimo: una tradizione secolare, tramandata oralmente di madre
in figlia fino ai giorni nostri. Oggi questa pasta è molto famosa e ricercata
ma la produzione è scarsa. I fusilli sono una ricchezza artigianale della zona
che potrebbe presto scomparire insieme alle poche donne che ancora ne
custodiscono il segreto.
Con la Scuola di cucina L’arte del fusillo di Felitto è
possibile cimentarsi nella creazione di questa tradizione secolare imparandone
le tecniche direttamente dalle protagoniste.
Fico monnato di Prignano Cilento
Da secoli il territorio intorno a Prignano Cilento (Sa)
regala agli abitanti il fico monnato, meglio conosciuto come fico bianco del
Cilento. I produttori hanno sviluppato una tecnica di essicazione unica: si
sbucciano a mano i fichi prima di farli essiccare facendo attenzione a non
incidere la polpa. Per questo sono detti monnati, ovvero mondati nel dialetto
locale. Segue, poi, l’essiccazione: i frutti interi sono sistemati su graticci
di canne, esposti al sole e al vento dalla mattina fino a poco prima del
tramonto e girati a mano più volte, affinché l’essiccazione sia omogenea. Il
Presidio riunisce i pochi produttori che ancora praticano questa complessa
lavorazione.
Pomodorino verneteca sannita
Coltivata nelle zone pedemontane dell’appennino sannita (Benevento),
la verneteca sannita è piccola e tonda di colore giallo. Entro poche ore dalla
raccolta i pomodorini sono intrecciati e legati con lo spago, formando grappoli
dorati che vengono poi appesi in luoghi areati e riparati, come balconi e
tettoie, dove si conservano fino alla primavera successiva. Infatti, grazie
alla consistenza della buccia, si mantiene all’aria aperta e si può consumare
crudo durante l’inverno; da qui il nome di vernino o verneteca.
Il pomodorino verneteca sannita è protagonista, insieme ad
altri, della Scuola di Cucina Pizza e bloody mary: che pomodoro ci metto?.
Antico aglio dell’Ufita
La valle del fiume Ufita, nell’Appennino avellinese, è una
zona particolarmente vocata alla coltivazione di aglio fin da tempi immemori. Qui
cresce il Presidio dell’antico aglio dell’Ufita che si caratterizza per l’alta
concentrazione di allicina (il composto solforganico dell’aglio). Infatti
l’aroma e il sapore di questa varietà sono molto intensi, così come la
piccantezza, che facilita anche la conservazione dei bulbilli.
Nella cucina irpina l’aglio dell’Ufita è l’ingrediente
principale di alcune preparazioni tipiche come la frittata di aglio fresco, la
ciambuttella di Grottaminarda e gli spaghetti alla chitarra aglio, olio e
peperoncino.
Noce della penisola sorrentina
Le noci di Sorrento erano coltivate già dai Romani. Lo
testimonia anche il nome di alcune località: il Comune di Piano di Sorrento, ad
esempio, è conosciuto anche con il nome di Caruotto, dal greco charouon, che
significa noce. La varietà che cresce in questa zona è molto pregiata per via
del gheriglio voluminoso, tenero, croccante e del sapore gradevole e delicato.
Inoltre, il gheriglio, a differenza di altre varietà, può essere facilmente
estratto integro. Per queste sue qualità la noce sorrentina è molto apprezzata
dai pasticceri della zona per la preparazione di biscotti, torroni e
semifreddi. Famoso è anche il liquore chiamato nocino.
Campania – Vecchie varietà di albicocche del Vesuvio
Delle circa cento cultivar riportate nella letteratura ne
sono state rintracciate una settantina, ma solo una quindicina è ancora
presente in campo, in un’area del Vesuvio gestita da aziende di piccole
dimensioni. Estremamente dolci, di qualità organolettica superiore alle varietà
moderne, ma più delicate e deperibili, sono di difficile gestione nei mercati
ortofrutticoli. I nomi sono curiosi, solo per citarne alcuni: boccuccia,
vicienzo e’ maria, vitillo e cafona. Queste varietà testimoniano l’intensa
attività di selezione svolta nei secoli dai contadini per ottenere il meglio da
una delle risorse più redditizie di questa terra.
Fagiolo quarantino di Volturara Irpina
Nell’altopiano irpino, ai piedi del monte Terminio (Av), si
coltiva un fagiolo bianco, tenero e leggermente farinoso, detto anche
quarantino per la durata del suo ciclo di maturazione. La coltivazione manuale
e laboriosa di questa varietà ha impedito la sua produzione su vasta scala e,
poco per volta, ha ridotto drasticamente il numero dei produttori. I fagioli si
conservano aggiungendo pepe nero e spicchi d’aglio e sono ingrediente di
numerose zuppe e minestre della tradizione di Volturara. Un piatto, in
particolare, è simbolo di questa zona: i fagioli con cotiche di maiale e
castagne serviti caldi sul pane raffermo.
Cece di Teano
Il cece di Teano (Cs) è piccolo, color nocciola, ha pelle
sottile e superficie rugosa. Per questo è anche conosciuto come “cece piccolo
riccio”. Sono pochi gli agricoltori che hanno conservato i semi di questa
varietà e che continuano a coltivarla. Con il Presidio nuovi produttori si sono
fatti avanti e ne hanno ripreso la coltivazione, ma questa varietà antica è
ancora a rischio di estinzione. In questo territorio è coltivato da sempre per
il consumo familiare e, fino agli Anni ‘60, era ingrediente base della cucina
contadina: nelle zuppe, nelle passate, con la pasta. Il piatto tradizionale più
noto prevede tagliolini tirati a mano conditi con ceci, sugo di pomodoro e
salsiccia di maiale nero teanese.
Il Presidio è presente insieme ad altri alla Scuola di
Cucina Un mondo di ceci – Slow Beans.
Pisello centogiorni
Coltivato nell’area del Vesuvio da almeno un secolo, il
pisello centogiorni deve il suo nome alla durata media del ciclo produttivo.
Tutte le fasi della produzione avvengono manualmente, dalla semina alla
raccolta dei baccelli freschi. I piselli, che si mangiano verdi o secchi, sono
molto apprezzati per la loro estrema dolcezza e la consistenza tenera della
buccia. Ingrediente cardine della minestra di pasta e piselli napoletana,
vengono fatti cuocere con cipolla e pancetta prima di aggiungere i classici
tubetti o pasta mista.
Puglia
Pomodoro giallorosso di Crispiano
Nel cuore della provincia di Taranto, immerso tra colline e
ulivi secolari, nell’area agricola più fertile della Puglia, le famiglie di
Crispiano coltivano da secoli il pomodoro giallorosso. Forma tondeggiante,
polpa morbida e buccia spessa, ha un colore aranciato che sembra non arrivare
mai a maturazione completa. I pomodori giallorossi sono ottimi in insalata, per
preparare sughi e come condimento delle frise.
Pomodorino di Manduria
Il pomodoro di Manduria ha una resa bassa rispetto agli
ibridi commerciali e richiede molto lavoro. Perciò, nonostante le ottime
caratteristiche organolettiche, è stato via via sostituito da coltivazioni
intensive. Il seme, rintracciato grazie ad alcuni agricoltori anziani che lo
avevano gelosamente custodito, è ora un Presidio che coinvolge anche alcuni
giovani produttori, tutti certificati bio. Alcune famiglie, ad agosto, lasciano
appassire i pomodori su graticci di canne mentre, con i frutti più maturi, si
prepara la passata. Tradizionalmente il pomodorino di Manduria si mangia fresco
insieme al cetriolo carosello o nella jatedda, un’insalata a base di pomodorini
freschi, aglio, olio, sale, capperi e origano con cui si condiscono le
friselle.
Sicilia
Lenticchia nera delle colline ennesi
Infine, dalla Sicilia arriva a Torino la lenticchia nera
delle colline ennesi, una delle più caratteristiche per via della colorazione
che la distingue dalle altre varietà: tegumento nero, ma interno
rosso-brunastro. La sua variabilità genetica – testimoniata dalla presenza
frequente di semi non neri – non è un difetto, ma al contrario una ricchezza,
che le permette di sopravvivere e adattarsi al cambiamento climatico che sta
rendendo queste aree sempre più aride. Grazie alla particolare nota minerale è
ottima anche con il pesce, in particolare con i gamberi.
Assaggiala al Laboratorio del Gusto Una lenticchia tutta
nera! – Slow Beans.
Per conoscere tutti i Presìdi visita il sito della
Fondazione Slow Food per la Biodiversità www.fondazioneslowfood.it.
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