In
Europa c’è in atto una guerra che si sta combattendo senza esclusione di colpi.
La pietra dello scandalo è il glifosate, il più utilizzato agrofarmaco al mondo
e uno dei meno tossici e persistenti nell’ambiente. Ha però due gravi difetti:
è stato inventato da Monsanto, la multinazionale più odiata della storia, e
inoltre serve a rendere il grano nordamericano necessario a quello italiano
grazie al trattamento in pre-raccolta che ne aumenta il contenuto in proteine e
riduce il rischio di micotossine. Spesso noi produciamo grano povero di
proteine e se non gli aggiungiamo grano canadese non riusciamo a fare la pasta.
Nel senso che la nostra pasta verrebbe scotta. Per questo l’Italia deve
comprare in America e Canada quasi un terzo del grano che serve alle industrie
italiane della pasta. Milioni di tonnellate annue che sono sempre andate di
traverso ai molti autarchici nazionali, da Coldiretti a trasmissioni come
Report. Un flusso da arrestare con ogni mezzo, parrebbe.
Con un discusso studio lo Iarc sostiene che il
glifosato è “probabilmente cancerogeno”,
come il caffè e le fritture, ma meno dannoso degli insaccati.
Oms,
Efsa, Echa e Fao dicono che non è cancerogeno, ma l’allarmismo diffuso da
politica e media spinge verso il divieto di un erbicida efficace ed economico
Ed
ecco che, quale angelo caduto dal cielo, nella primavera 2015 giunge la
monografia 112 dello Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) su
glifosate, in cui l’erbicida viene posto fra i “probabili cancerogeni”
scatenando una caccia alle streghe senza precedenti. All’orgia inquisitoria non
sono mancati politici, giornalisti, istituti di ricerca dalle dubbie
reputazioni e, soprattutto, tutt’altro che super partes. Come pure sono
comparsi studi legali americani che avevano già bell’e pronta una class action
contro Monsanto la settimana stessa della pubblicazione della monografia Iarc.
Salvo poi scoprire che Christopher Portier, l’unico consulente esterno cooptato
da Iarc, aveva firmato un contratto da 160 mila dollari come consulente di
parte proprio con Weitz & Luxenberg, lo studio legale della suddetta class
action. Una monografia gravata per giunta da altre sospette omissioni, come
quelle operate dal ricercatore Aaron Blair, che ha tenuto nel cassetto studi
che dimostravano l’innocenza di glifosate. Testo inoltre ritoccato da ignoti,
affinché il giudizio finale fosse peggiore di quello riportato nelle bozze. Non
che la controparte, Monsanto, sia avulsa da scheletri nell’armadio,
scoperchiati dai cosiddetti “Monsanto Papers”, una serie di collaborazioni poco
trasparenti con ricercatori e dirigenti dell’Environmental Protection Agency
americana. Un tutti contro tutti, quindi, ricco di colpi di scena e colpi
bassi, mentre il ministro Maurizio Martina, in nome di una non meglio precisata
“sostenibilità” delle pratiche agricole italiane, spinge per il bando europeo
di glifosate.
Una
sostenibilità a corrente alternata. Nel senso che le parole dello Iarc sono oro
colato per Carlo Petrini o per la trasmissione Report se mette in categoria 2A
il glifosate, mentre fanno allarmismo quando, sempre lo Iarc, mette nella
stessa categoria 2A le carni rosse e addirittura nella massima categoria di
rischio, la categoria 1, gli insaccati: se lo Iarc attacca la bistecca chianina
o un salame tipico, allora, non è credibile, per il glifosate sì. Nella stessa
categoria 2A del glifosate lo Iarc mette anche: le emissioni dai caminetti a
legna di casa, la manifattura del vetro, i fumi delle fritture, l’esposizione
professionale dei barbieri o le bevande calde oltre i 65 gradi, ossia tè, caffè
o un buon brodo caldo. Ma soprattutto tra i sicuri cancerogeni della massima
categoria lo Iarc mette le bevande alcoliche (birra, vino e aperitivi), i
superalcolici (grappa, limoncello), il fumo di sigaretta sia attivo che passivo
e l’esposizione ai raggi UV (i raggi solari).
Il
vero concetto che è difficile far passare è che non è la presenza un problema
(che è quanto fa lo Iarc), ma la dose e la frequenza individuale
dell’esposizione, ossia il principio su cui lavorano tutte le altre agenzie al
mondo. Difatti le altre agenzie hanno detto che glifosate non è cancerogeno,
come scritto da Echa ed Efsa (le agenzie europee per la chimica e per la
sicurezza alimentare) e poi dalla Fao e dall’Organizzazione mondiale della
Sanità da cui Iarc dipende.
Il
Ministro dovrebbe tutelare anche le aziende italiane della pasta che miscelano
grani forti canadesi e buoni nostrani, sapendo che per raggiungere la soglia di
rischio alle prove tossicologiche si dovrebbero mangiare centinaia di chili di
pasta. Si badi bene: al giorno. Glifosate serve peraltro ai cerealicoltori italiani
per le pratiche virtuose di minima lavorazione del terreno, mentre Report
perora la cancellazione totale del glifosate dal grano anche come residui,
fatto che bloccherebbe ogni nave in viaggio per l’Italia favorendo forse solo
una cooperativa di agricoltori vicina al Movimento cinque stelle che però non
fa ancora una sua pasta. Ma se l’Italia bloccasse il grano nordamericano, Stati
Uniti e Canada potrebbero bloccare vini e altri prodotti di pregio italiani
contenenti sostanze da loro non autorizzate: un’insensata e ascientifica guerra
commerciale. E meno male che questi deliri autarchici nascano solo ora. Se
oltre un secolo fa ci fossero state le stesse tifoserie nazionalistiche avremmo
perso la produzione di uva da vino italiana. Da tempo, infatti, facciamo vino
innestando vite italiana su vite americana, mescolando così identità genetiche,
altro che farine di grano.
Un
sonno della ragione che sta mettendo in ginocchio soprattutto le aziende
italiane a cominciare dai grandi Consorzi di tutela già colpevolizzati per
l’uso degli Ogm nei mangimi o le aziende dolciarie per l’uso dell’olio di
palma. Vietare glifosate ci costerà caro perché è un agrofarmaco generico fuori
brevetto che verrà sostituito da altri diserbanti molto più costosi e così farà
scappare altre aziende italiane e con loro altre generazioni di giovani
italiani soffocati da un paese accartocciato sui suoi ritardi culturali e
tecnologici.
Roberto
Defez, ricercatore Cnr
Donatello
Sandroni, ecotossicolo
Fonte:
Il Foglio
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